Martin SCHULZ, EP President,  Alexis TSIPRAS

A Sanremo la politica si ripete sempre uguale a sé stessa, eppure ogni volta l’elettore confida in un risultato diverso e cade nel tranello teso da chi prospera sulla credulità popolare.
Qui tutto avviene a metà strada tra l’illusione di coloro che considerano la campagna elettorale uno show a lieto fine e l’allucinazione di quelli che invece sono convinti che il felice epilogo della fiction è lì dietro l’angolo, pronto a realizzarsi con il semplice schioccare delle dita.
Come all’Old Vic di Londra anche nella città dei fiori non si contano più le repliche sull’identico copione, con la stessa regia e la medesima troupe.
Se l’inchino lo avessero fatto da queste parti e non al Giglio, il capitano sarebbe sceso dalla nave con il picchetto d’onore e il bastone da ammiraglio nello zaino, il suo vice avrebbe spiegato che la nave è all’ormeggio e che domani si ripartirà per una meravigliosa crociera.
I foresti non se ne rendono conto e ogni tanto qualcuno di loro casca nel tranello, scommette su una chance che i bookmaker locali davano per vincente e ci lascia le penne.
Per la verità, da un po’ di tempo pittano sempre in meno perché la città è ridotta a un sacrario, disseminata di croci, ognuna a ricordare l’incidente di percorso di un gonzo e finisce che anche i più ingenui si fanno guardinghi.
Erano venuti da fuori a recuperare dalla Belle Epoque alberghi prestigiosi col risultato che qualche imponente mausoleo benché restaurato da decenni rimane ancora ermeticamente chiuso, qualcun’altro è un eterno cantiere edile e su tutti sventola bandiera bianca.
Stessa sorte è toccata a chi ha puntato su aziende floricole abbandonate, su stabilimenti industriali in degrado o sul parco di qualche villona diroccata, senza contare i casi di immobili provenienti dalla manomorta ecclesiastica.
Ma non c’è soltanto il mattone: fino a ieri alla vigilia delle elezioni la politica apriva le botteghe e negli scaffali trovavi di tutto, dai posti di lavoro agli appalti pilotati, da trattamenti di favore ai paraocchi su affari borderline, alla faccia del folkloristico voto di scambio di qualche picciotto da strapazzo.
Adesso, però, tutto è cambiato e non per i protocolli della legalità ma per esaurimento scorte a magazzino.
Non sorprende che all’indomani delle primarie di centro-destra celebrate tra pochi intimi il curatore fallimentare della premiata ditta “Scajola & C.” metta le mani avanti e dichiari: “Sarà una campagna elettorale low cost” e non potrebbe essere diversamente.
Per i sanremesi la speranza è tutta lì, nel flop di quella penosa sceneggiata, che su cinque candidati sindaco ha registrato la partecipazione, più o meno, dello stesso numero di persone che all’epoca votarono per una quaterna di consiglieri comunali della corrente di destra della DC, nell’ultima mia elezione prima di attaccare definitivamente le scarpette al chiodo.
Altri tempi, è vero, ma anche altre tempere alle quali le curve potevano urlare in coro: “Maggici, fatece sognà con le vostre maggie!!”, come quella di spostare a monte e raddoppiare la ferrovia, o realizzare l’acquedotto sottomarino del Roia, o l’Autostrada, o il Mercato dei Fiori, o l’Aurelia bis, o liberare il centro cittadino dal carcere e dalla centrale del gas o costringere la RAI a sottoscrivere per la prima volta una convenzione onerosa per il Festival.
Eredità degli ultimi vent’anni di vituperata “Prima Repubblica” che Sanremo, colonizzata dalla dinasty imperiese, ha allegramente dilapidato nel successivo radioso ventennio della “Seconda”.
Ecco come in questa città di ciechi un orbo come Zoccarato è riuscito a diventare sindaco a patto però di non inforcare gli occhiali: non appena ci ha provato la “Famiglia” lo ha immediatamente sostituito con Dudù, un cagnolino docile e mansueto con pedigree di AN.
La scommessa della prossima tornata amministrativa è tutta lì, dicevo prima, cioè nell’orgoglioso riscatto dalla tirannia della “Banda Bassotti” oppure nell’asservimento definitivo ai suoi droni telecomandati, e a seconda del risultato elettorale potrebbe addirittura tradursi nella chiave di lettura del futuro di Sanremo e della Riviera.
Seguo da troppo tempo le vicende politiche locali per iscrivermi al club degli illusi e dei creduloni e per non aver imparato a riconoscere le pecore obbedienti che con gli occhiali verdi masticano la paglia come fosse erbetta fresca.
Anche perché se guardo a destra, è vero, mi scappa da piangere ma le lacrime agli occhi mi vengono pure se guardo a sinistra dove trovo magari meno orbi ma sicuramente più daltonici.
A temperare il pessimismo sul fronte opposto c’è però la concomitanza con le elezioni europee che potrebbero finalmente far scattare nella testa della gente la molla xenofoba della ribellione contro il foresto che comanda a casa tua e magari, chissà! per Sanremo potrebbe essere la volta buona per liberarsene.
La difficoltà maggiore è quella di guarire gli elettori dal daltonismo monocromatico per il quale le cose sono o tutte bianche o tutte nere a seconda degli occhiali che si posano sui loro nasi.
In questo senso il De Profundis intonato da Le Pen, Grillo e Tsipras alle esequie dell’Euro tiranno potrebbe diventare la colonna sonora di un noir ambientato nel microcosmo di Sanremo per celebrare un inedito vespro ligure.
Bisogna ammetterlo, agli inizi i ribelli si contavano sulle dita di una mano, e cito i nomi di Donzella, Morini, Il Grande e di qualcun altro, ma poi l’esempio è diventato contagioso, in questa antivigilia elettorale il desiderio di riscatto si sta allargando a macchia d’olio e Biancheri sicuramente cavalcherà l’onda nella speranza di farcela al primo turno.
Per lui, infatti, lo spauracchio è quello di finire al “ballottaggio” con Dudù, attorno al quale il gregge dei collaborazionisti e dei fiancheggiatori potrebbe ricomporsi con l’apparentamento a titolo oneroso di “Bibì” e la Canossa di Zoccarato con concessione dell’indulgenza plenaria, senza trascurare l’effetto repellente di alcuni personaggi che oggi ronzano intorno al “Golfer” e che in passato alla corte del sindaco Borea non hanno certo brillato.
Per evitare tutto questo i consigli al candidato del raggruppamento di centro-sinistra si sprecano e al primo posto c’è la necessità di tapparsi il naso e di raccogliere sotto la medesima bandiera il maggior numero di truppe possibile, compresi i mercenari e senza escludere a priori neppure i disertori di professione.
Solo a queste condizioni, infatti, Biancheri potrebbe raggiungere al primo turno quella maggioranza assoluta dei voti validamente espressi che la legge richiede a chi vuole evitare i rischi del ballottaggio.
La chiave di lettura della situazione è racchiusa in queste semplici proposizioni e il codice di decrittazione delle diverse candidature si basa su tre variabili indipendenti, cioè l’organizzazione tecnica della campagna elettorale, che per tutti mi sembra piuttosto dilettantesca, l’agenda dettagliata degli impegni amministrativi, ancora assente, e la composizione delle squadre oggi del tutto oscura.
Solo con una macchina efficiente, con un GPS comprensibile e con gente capace a bordo chi vuol farcela al primo turno è in grado di convincere la maggioranza assoluta degli elettori di Sanremo a imboccare la strada giusta.
Per tutti gli altri la variabile è una sola, il quorum per accedere al mercato delle vacche e confermare quello che dicevo all’inizio sulla politica ripetitiva che a Sanremo ritorna sempre uguale a sé stessa.
Bruno Giri

 

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