Intervista esclusiva per L’Eco della Riviera ad un astro nascente della grande arte contemporanea: Francesco Arena
Abbiamo incontrato Francesco Arena per L’Eco della Riviera alla mostra “Le latidini dell’arte” a Palazzo Ducale a Genova e con grande semplicità e professionalità ci ha portati addentro alle nuove tendenze dell’arte contemporanea così come raccontata nelle belle Sale del Munizioniere grazie alla curatela di Simonffy e di Monteverde e si è prestato a una lente di ingrendimento sulla sua attuale attività artistica che da anni sta riscuotendo un successo fuori dal comune, evidenziando un altro ligure che è destinato a brillare nel firmamento dell’arte.
Se dovessi scoprire le carte sulla tue ultime ricerche da Breathes del 2008 ad Anatomy of Melancoly quali sono i punti salienti della tua evoluzione artistica?
In generale direi che i lavori che hanno maggiormente segnato la mia ricerca sono stati quelli che hanno anche determinato un mio sviluppo o cambiamento anche di linguaggio espressivo. Dopo gli anni ’80 che sono stati caratterizzati da installazioni dove utilizzavo materiali diversi, unendo la fotografia ad oggetti di uso comune, con la serie solo fotografica degli still life “Still Life for Lifelike People” del 2000 è cambiata radicalmente la mia concezione del lavoro. Mi sono concentrato maggiormente sull’immagine fotografica ed ho cercato una sorta di sottrazione degli elementi e un’analisi specifica sul medium fotografico.Da lì in poi ho sempre dialogato con la caratteristica della “verosimiglianza” dell’immagine ed ho riflettuto sulle sue peculiarità di comunicazione sviluppando via via il concetto di “identità” sia degli oggetti che delle persone.
Nei lavori di cui parli realizzavo degli still rifacendomi all’immagine pubblicitaria ma con mezzi tradizionali, pellicola in dia 6×7 e tutta la costruzione dell’immagine veniva effettuata senza post produzione. Utilizzavo un linguaggio contemporaneo per comunicare altro rispetto alla vendita del prodotto; anche questa peculiarità sull’utilizzo dei media mi accompagna ancora adesso ed il collegamento coi linguaggi pubblicitari, nel mio caso un certo tipo di fotografia di moda è ancora presente …Con “Respiri Breath” e Anatomy ho cominciato, come ti ho anticipato prima, a fare una ricerca sull’identità di rappresentazione e di autorappresentazione del sé, ricerca che si svilupperà ulteriormente sugli ultimi lavori ancora parzialmente inediti di “Extra_Ordinary People” che hanno determinato anche quì un’altra trasformazione nel linguaggio fotografico usato, molto influenzato da un uso freddo e sintetico delle luci in ripresa e dall’utilizzo di materiali industriali di stampa come le tele viniliche che conservano un’immagine di qualità “fine art” pur essenzializzandosi e dimenticando tutti gli orpelli tipici della presentazione delle immagini quali supporti, cornici e così via concentrandomi, in estrema sintesi, sulla pura immagine essenziale.
Biennali come queste riescono a creare anche un indotto commerciale? C’è una buona visibilità/afflusso?
Manifestazioni come queste e in genere ogni mostra di “scambio e confronto” con altre realtà espositive creano per forza, se gestite nella maniera giusta, un indotto commerciale dipende però dai curatori e dal lavoro che si fa a monte di ogni operazione di questo tipo, non basta mai, ma questo in generale, la sola esposizione ma le trame ed i contatti che si legano a monte. L’afflusso di pubblico molto eterogeneo è stato massiccio rilevavamo circa 50/70 persone al giorno che considerando il periodo vacanziero è un’ottimo risultato.
Per finire ti chiediamo un’anticipazione: quali opere porti alla Fondazione Cini di Venezia?
Verrà esposto un lavoro che entrato a far parte della collezione di Luciano Benetton nel suo progetto Imago Mundi, una collezione/progetto fantastici dove Luciano invita artisti di tutto il mondo a confrontarsi con una piccola tela ed interpretarla… http://www.imagomundiart.com/artworks/francesco-arena-my-skin In questo caso ho ricoperto e incorniciato con un frammento della mia tela vinilica il suo campione creando un oggetto molto lontano dal quadro o dalla semplice stampa digitale: è come se avessi catturato un frammento irregolare di materia e lo avessi circoscritto con una cornice lasciando però ancora liberi i margini dell’immagine che risultano così in forme sempre più casuali diventando dei veri e propri oggetti, quasi bassorilievi/sculture… Da questa esperienza sto costruendo parallelamente ai lavori di grandi dimensioni di 250 x 500 cm. Anche queste serie di 30 x 30 cm che rappresentano dei frammenti di immagini maschili e femminili senza una identità precisa, legati da un fil rouge di una bellezza androgina che non ne identifica le identità sessuali: lo stesso concept della serie grande dei trittici dove in quel caso le immagini comparivano in una dimensione iperrealista dove lo scarto tra rappresentazione e sostanza dell’immagine risultava più marcato.
E il cerchio si chiude….ecco una breve disamina della mostra di Genova, sicuramente da non bucare!
LA MOSTRA
Le latitudini dell’arte a Genova
Sul piano dell’arte le latitudini, metaforicamente intese, hanno parametri e configurazioni mobili, in una società di massa globalizzata che non cessa di definire i suoi confini e riconsiderare, in vista di intere comunità in transito, lo slittamento e l’estensione delle sue reti connettive, delle sue rappresentazioni socio-culturali, eco-ambientali ed teno-antropologiche.
Così gli organizzatori di questa seconda biennale (la prima del 2013 era Italia-Finlandia) commentano la sagace titolazione “Le latitudini dell’arte”. Si scorrono così latitudini contemporanee, si confrontano geografie distanti e luoghi della mente e del cuore, in un viaggio accelerato che non manca di stupire grazie ai contributi della direttrice dell’Associazione Ungherese degli Artisti d’Arte Figurativa ed Applicata a Budapest Màrta Simonffy e della famosa Virginia Monteverde, presidente di Art Commission, ideatrice e curatrice dell’evento.
In più il bel catalogo che correda l’esposizione vede il testo critico della conosciuta giornalista di settore Viana Conti, che osserva nella lettura critica come “in una lettura percettivo-fenomenologica si possono cogliere nello scenario della mostra processi di formazione delle nazionalità e di nazionalizzazione delle identità. (…)Ci si chiede, davanti alla mostra se è la questione del soggetto, della figura dell’autore quindi, che ancora prevale o quella dell’oggetto-opera; quella di un soggetto collettivo o quella di una condizione relazionale connettiva”.
Un percorso che suscita domande e che le lascia aperte alla sensibilità individuale che localizza tramite le latitudini geografiche o concettuali o che le risolve superandole quello a Palazzo Ducale fino al 17 agosto nelle sale del Munizioniere con ingresso gratuito, che vede ai nastri di partenza gli artisti italiani con il trittico “Extra Ordinary People” di Francesco Arena, “Le Papesse” di Alessio Delfino, “:x” di Marco Nereo Rotelli, “Doppelgaenger, Avanzamento” di Giancarlo Marcali, “007″ di Carlo Pasini, “Cut to shape, the cube” di Pier Giorgio De Pinto, “Figure di strada” di Sabina Feroci , “L’argonauta” di Paolo Fiorellini, “Davanti al muro” di Luca Lischetti e “Volevo dirti che…” di Federica Marangoni. Per gli ungheresi prevalgono le texture pittoriche e figurative, ma non mancano anche la video-arte, la scultura, la fotografia e le installazioni con “L’ultima Cena” di Gábor Heritesz, la “Pietà” di Katalin Kinga, “Bambino” di Rita Rabóczky e ancora “La sensibilità di Liszt” di Antal Örkényi . La Biennale però non finisce ad agosto a Genova: la seconda tappa è infatti prevista per l’autunno a Budapest.
Giulia Cassini