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Tabemono no bi è la titolazione della grande mostra inaugurata a fine ottobre a Genova nella suggestiva e sempre entusiasmante sede del Museo Chiossone, nel centro della città. La mostra è stata preceduta il 29 ottobre da una puntuale conferenza tenuta dalla massima esperta genovese di arte orientale Donatella Faidda, che con linguaggio intellegibile a tutti ha enucleato i punti chiave della mostra Tabemono no bi, non senza soffermarsi su alcune cusiosità. Un’ idea per la mostra Tabemono no bi che è nata, in realtà, ben prima di Expo 2015 e quindi trovatasi per caso fortuito in linea con l’adagio “nutrire il pianeta” e con la ricca serie di iniziative culturali create a Genova. Perchè dedicare una mostra alla cucina giapponese allora?

Tabemono no bi senza girarci troppo intorno è nata sia per la preziosità del materiale documentale ed artistico delle collezioni del Museo Chiossone sia per l’originalità della tematica, visto che non mi risulta ci siano state delle mostre nella nostra regione in precedenza sulla cucina giapponese e sulla ritualità ad essa connessa. Oggi tra le più prospere e variegate industrie alimentari del mondo, la cucina washoku (letteralmente cucina giapponese) e la ristorazione giapponese hanno infatti lontane origini nel Medioevo, ma la loro evoluzione in epoca pre e proto-moderna è legata sia ai movimenti d’uomini e merci -che si dipanavano lungo le principali vie di comunicazione del Giappone- sia allo sviluppo delle grandi città, nelle quali si formò una vivace cultura borghese.

Unitamente al raffinato impiego di suppellettili in lacca e porcellana, la tradizione culinaria giapponese si evolvette non già nelle case degli aristocratici, bensì in seno agli ambienti borghesi e all’industria della ristorazione connaturata al fenomeno dell’urbanesimo durante i secoli XVII- XIX.

LA MOSTRA
Dipinti, stampe policrome, lacche, porcellane, bronzi compongono le 150 opere delle collezioni del Museo Chiossone qui valorizzate sul filone gusto e immagine della tavola giapponese, sotto l’egida di “Tabemono no bi” con affollata inaugurazione proprio a Villetta di Negro lo scorso 30 ottobre. L’esposizione, che merita assolutamente una vista, è aperta fino al prossimo 25 giugno 2016 e si snoda attraverso sei punti chiave. Si inizia con la cucina giapponese, il cibo con le influenze delle Shinto e del Buddhismo sull’alimentazione, la cattura delle prede, la celebrazione delle divinità propriziatorie dell’oceano, dei campi e della cucina. I tabù alimentari giapponesi. Si prosegue con la biodiversità della terra e del mare, con particolare attenzione alla pesca, al riso, al sake. Da qui si passa alle suppellettili da pasto dei vari periodi in porcellana o laccati con attenzione alla tavola in casa e alle suppellettili da esterno per gli antenati dei moderni pic nic.

A questo punto è la volta di case da thé e ristorantini “monocibo”, sottolineando la capitale shogunale Edo dove hanno origine secondo le ricostruzioni storiche pervenute. Si continua con yoshoku, i cibi di importazione in Giappone e forestieri, a seguito dell’apertura alle relazioni internazionali del Giappone e l’uso più frequente della carne in particolare nel periodo Meiji (1868-1912), con l’abolizione del sokoku. L’ultima parte chiude in bellezza con chanoyu (la cerimonia del thè e il collezionismo che ne deriva)e sencha (il thé preparato come si usa là, per noi occidentali decisamente una “mistura” rispetto al nostro iperfiltrato). Gli adepti dell’ambiente dei letterati bunjin e le suppellettili di gusto cinese.

LE TEMATICHE
Donatella Failla, curatrice di Tamebono no bi e direttrice del Museo Chiossone, ha presentato alla Biblioteca Berio la mostra appena inaugurata su una cucina tradizionale che, come quella giapponese, è una delle più apprezzate al mondo. Tabemono no bi è di fatto la felice esposizione che serve dunque a presentare il cibo e le raffigurazioni sul cibo. In Tabemono no bi si intende valorizzare non solo gli apparati che servivano per la preparazione dei piatti di una cultura che tanto ci affascina, ma le loro funzioni, come mai questi apparati non fossero solo funzionali ma così ricchi e particolareggiati, così intrisi di elegante bellezza decorativa. Il cibo poi, continua Faidda, è anche un oggetto del pensiero, un’immaginazione, che stimola la fantasia e le aspettative (pensiamo agli esperimenti di Ivan Pavlov). L’investitura che la cucina giapponese ha ricevuto alla fine del 2014 di patrimonio intangibile dell’umanità (Unesco) ci fa riflettere, anche in questa direzione, sull’importanza dell’avvento della mostra Tabemono no bi a Genova in un periodo dell’anno ricco di iniziative culturali. La cucina giapponese è infatti intimamente legata al rispetto della natura e all’uso sostenibile delle risorse; si sottolinea ormai da diversi anni come la tradizionale dieta nipponica contribuisca validamente alla longevità ed alla prevenzione dell’obesità. Il viaggio parte nel Periodo Edo, quando la cucina si evolve come crocevia e commistione di gruppi regionali che per traffici commerciali e per l’economia in genere, convergono verso la capitale (oggi Tokyo).

Giusto per dar luce su qualche curiosità evidenziata da Faidda possiamo ricordare come nell’ambito delle case nobiliari ci fossero i “maestri del coltello”, con i loro movimenti lenti e cadenzati a formare una specie di coreografia, una reale ritualità nel tagliare i diversi ingredienti utili per le preparazioni. A tale proposito desta stupore per i non appassionati di storia orientale il fatto che le preparazioni dei banchetti negli ambienti nobiliari fossero semplici sequenze di cibi preparati in modo rude. E’ stata la grande inventiva dei borghesi a sviluppare una cucina piacevole da gustare e dai modi raffinati, infatti non nascono nei palazzi i precursori dei moderni ristoranti ( che vicino a noi si originano a Londra nella seconda metà dell’Ottocento- circa 1868 ), ma nelle case da thé molto tempo prima. E’ poi sempre in Giappone che parte la ristorazione di massa. ” E’ a metà del Secicento- 1657 circa, che l’intera città di Edo va distrutta completamente”prosegue Failla “cosicchè vi convergono operai,lavoratori, carpentieri ecc nascendo anche la necessità di punti ristoro. Sono i moderni piatti unici come le tagliatelle in grano saraceno fritte in brodo (soba) o comunque pasti semplici per gente frugale”. Questa, se vogliamo, è la storia di origine del “pranzo da lavoro” e delle nostre trattorie o bar.

Tralasciando la storia la bellezza è anche l’evoluzione del corredo da tavola, che è specchio delle arti applicate, dei grandi artigiani e dei maestri d’arte oltre che delle credenze, viste le tante raffigurazioni di divinità che proteggono mare, pesca, campi coltivati. C’è il dio delle ricchezze pecuniarie , del riso e dei raccolti (quindi anche dei frutti e degli ortaggi), una divinità di origine indiana raffigurata col liuto che protegge l’intero oceano e il dio protettore dei pescatori cioè il famosissimo Inari ( rappresentato come un uomo di una certà età che porta riso con una volpe, secondo la credenza popolare per cui quando si vedevano le volpi si sarebbe salvato il raccolto dagli altri animali), il kami (la divinità) al quale sono dedicati circa 32.000 santuari ancor oggi in Giappone.

Giulia Cassini

 

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