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“Io voglio cantare, non narrare; esaltare, non descrivere”- Parole di Wildt trascritte da Ugo Ojetti, Dedalo, dicembre 1926
Italia e Francia dimostrano di essere indissolubilmente legate non solo dagli accadimenti degli ultimi giorni, ma da una comune cultura che passa attraverso collaborazioni museali. L’occasione è l’ omaggio al grande scultore italiano virtuoso del marmo, visionario interprete delle emozioni e delle aspirazioni umane, “Adolfo Wildt, l’ultimo simbolista”, dal 27 novembre al 14 febbraio 2016 alla Galleria d’Arte Moderna di Milano con direzione di Paola Zatti e comitato scientifico di Beatrice Avanzi, Ophélie Ferlier e Ferdinando Mazzocca.

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Celebrato proprio quest’anno a Parigi da una mostra ideata e prodotta dai Musées d’Orasay et de l’Orangerie (che tra l’altro ha acquisito in permanente per la prima volta in Francia un’opera di Wildt “Vir temporis acti (Uomo antico)”, 1921, bronzo) attendeva da tempo una rassegna nella sua città natale, Milano, tanto più che alla GAM, precisamente nel parco, si trova dal 1926 una delle opere più celebri del Maestro, vale a dire “Trilogia con le figure del Santo, del Giovane e della Saggezza”. Tra le opere di Wildt a Milano anche il busto di Toscanini al Teatro La Scala nel ridotto dei palchi, la statua di Sant’Ambrogio in Largo Gemelli il cui modello in gesso si trova sotto il portico dell’Università degli Studi, parecchi lavori al Cimitero Monumentale e il famosissimo quanto curioso citofono in bronzo “L’Orecchio” per il Palazzo Sola-Busca in via Serbelloni, uno dei primi citofoni di Milano e della storia, nonchè esempio come tante sculture della serie della radicalizzazione del principio dell’elemento parziale nella scultura e della sua ossessività nel rappresentare alcuni soggetti.

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Questa mostra è perciò l’occasione di consolidamento dell’identità di questo Museo e della città tutta oltre che la riscoperta di un autore che era stato dimenticato perchè erroneamente fatto combaciare con il regime, visto che la sua scultura di Mussolini commissionata da Margherita Sarfatti, potente e controversa “dittatrice della cultura”, è passata alla storia come la più famosa, col Duce nei panni del Civis Romanus con indosso l’infula (la fascia dei sacerdoti dell’antica Roma) , un evidente riferimento all’imperatore Augusto. Wildt è molto di più e finalmente sta ricevendo i giusti tributi dal pubblico come dalla critica. Tra le opere più significative “Ritratto di Franz Rose”, 1913, marmo, Venezia Fondazione Musei Civici di Venezia, Galleria Internazionale d’Arte Moderna di Ca’ Pesaro, “Maschera del dolore (Autoritratto)”, 1909, marmo su fondo in marmo dorato, Forlì, Musei Civici Palazzo Romagnoli, Collezioni del Novecento, “La concezione”, 1921, marmo dorato, Padova, Collezione Privata, l’insolita “Acquasantiera (La fontanella santa)”, 1921, mosaico, bronzo dorato e onice, Milano, Collezione Privata, “Augusto Solari”, 1918, marmo bianco, Pisa, Polo museale regionale della Toscana- Museo Nazionale Palazzo Reale e “Filo d’oro” (versione con le mani), 1927, marmo dorato nel filo, Collezione Privata. In particolare, come denota Mazzocca, per Wildt l’oro incarna l’aspirazione alla perfezione estetica e morale, quel desiderio arcaico di raggiungere un’armonia maturata e composta tra le linee e la loro forma.

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Non è un’antologica questa milanese, ma un soffermarsi su pochi soggetti ossessivi, sulla materia sforzata, lavorata, sofferta che ha raggiunto degli esiti altissimi ed inconfondibili.
Il percorso-mostra è semplice, cronologico, fino a quello che ha insegnato a Fontana e Melotti che interpretano la cifra wildtinana e la allungano in un secolo dai diversi sviluppi e di grande peso nella nostra storia. Nelle sei sale della GAM Wildt c’è tutto, c’è la sua identità e i suoi temi,come la famiglia e la religione (Wildt si definsce credente più che cattolico praticante , per lui la fede è anche l’accettazione del dolore), i suoi rapporti con l’ambiente fascista, le sue ossessioni, motivo per cui si sono documentate due opere o tre dello stesso soggetto (come la “Concezione” collaborando con importanti Musei).

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Il percorso espositivo è al primo piano del Museo così come era successo due anni fa per la mostra di Verdi: i visitatori con lo stesso biglietto del Museo vedono la permanente e la mostra con il documentario di quaranta minuti “Adolfo WIldt, il marmo e l’anima” realizzato da Simone Marcelli, Fabio Ferri e Barbara Ainis con Catrina Producciones, sulla ricerca spirituale di questo Maestro di tutti i tempi e sull’originalità sorprendentemente attuale delle sue figure scolpite e del messaggio di tolleranza religiosa, di valorizzazione delle nostre radici e di pietas umana dannatamente attuali. Uno studio per i soggetti antichi, per la filosofia e per la religione più un potente bisogno di sincerità: sono questi i valori che ci aiutano in tempi difficili. Lo aveva capito molto bene il critico Ojetti (in “Lo scultore Adolfo Wildt”, da Dedalo, 1926): “Wildt è d’una sincerità così schietta che forse un giorno sarà considerato come il vero esponente della nostra epoca stanca ed ansiosa, dicono, credula e curiosa, affannata a picchiar su ogni pietra nei muri del suo carcere pur di trovare la via della fuga verso l’infinito e la speranza”.

Giulia Cassini

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