“Tutto è pulito, essenziale, moderno, poco carico, con un amore per il dettaglio mai didascalico, con una magia nella luce che sa anche descrivere le ombre. Si ha l’impressione che la luce che emanano questi ‘quadri’ sia sufficiente a farli muovere” Rossana Bossaglia, critica e storica d’arte

Non i visi eterei delle modelle, non i corpi delicati avvolti da stoffe damascate come bozzoli in procinto di sfarfallare, non le mani iperdecorate ma in tensione che racchiudono un profumo-pozione, non le nature morte dal sapore caravaggesco reinterpretato con assoluta modernità di linguaggio, non le rughe di chi ha troppo visto o vissuto sulla sua pelle, ma una luce che tutto attanaglia o abbraccia -a seconda dell’umore di fondo delle composizioni- è la vera protagonista delle fotografie del famoso Luigi Gattinara, autore delle celebri elaborazioni pubblicitarie come di universalmente apprezzate opere d’arte che, se vogliamo, perdono la connotazione di mere fotografie per diventare veri e propri quadri contemporanei. In tutto questo si assapora anche la profonda cultura artistica di Gattinara e la sua passione per i fiamminghi e per la loro capacità straordinaria di resa della tridimensionalità con la luce. Sono lavori penetranti sia nella forma- assai intensa- sia nel contenuto, finendo per dipingere il soggetto prescelto con il chiaroscuro e concepirlo così compiutamente. Ma si badi non c’è un gusto spasmodico per l’eleganza compositiva: l’armonia ottenuta è semplicemente simbolo della superiorità narrativa, del culto della luce, del gusto di stupire e della soddisfazione orgogliosa di non stupirsi di nulla. C’è una decisa distanza tra chi scatta e il tema prescelto che sembra sospendere il tempo, immortalare senza condizionare, andare alla radice autentica di un soggetto, sia esso inanimato o vivente. Anzi, proprio con i soggetti inanimati, Luigi Gattinara raggiunge risultati straordinari. Le foto di Gattinara possono anche avere un sapore disincantato, possono attrarre o far soffrire, ammaliare o far ragionare, ma stupiscono per la cifra stilistica unica e inconfondibile. Anche chi non lo conosce ancora di nome è ormai avvezzo a riconoscerne i lavori, ad apprezzare la sua mano e la sua creatività (sul sito www.gattinaraluigi.eu le sue opere divise tra still-life, food, fashion, people, fineart), per esempio sulle riviste patinate per Christian Dior, Etro, Cerrutti, per l’alta gioielleria, per Toy Watch, per Bormioli Rocco, per gli chef più famosi come Antonio Marangi ( ed ha ritratto ad esempio Gualtiero Marchesi), per Ferrero e così via; l’elenco sarebbe davvero lungo…

Luigi Gattinara espone in sedi prestigiose e primarie gallerie in Italia e all’ estero dal 1989. Tra le ultime ricordiamo “Sapori in posa” presso la Villa Reale di Monza, sede di rappresentanza di Expo 2015, proprio come evento a coronamento dell’Esposizione Universale. Ha pubblicato recentemente “Still Light” per SeBook-Simonelli electronic book.

A TU PER TU CON LUIGI GATTINARA

 

G.C. Lei è romano di nascita ed ha iniziato giovanissimo a fotografare object trouvé sul Lungotevere. Perché era così attratto dalla fotografia?

L.G. “La mia passione per la fotografia nasce durante gli anni del Liceo Artistico. L’immediatezza di fissare un’emozione su un ‘supporto’ quasi fosse un foglio da disegno o una tela mi affascinava; era come osservare la realtà attraverso occhi diversi”.

G.C. Come si rimane fedeli a se stessi artisticamente?

L.G. “Penso che ‘l’amore’ e la passione per il proprio lavoro siano tra i tanti modi per rimanere il più possibile fedeli a se stessi, sia nella quotidianità professionale -che per me è rappresentata dalla realizzazioni di immagini per l’advertising- sia in quello più personale in cui ritrovo il mio ‘percorso artistico’. Ma alla base di tutto ciò, in entrambi i casi, l’esigenza primaria è la raffigurazione di un pensiero personale e con esso l’emozione che ne scaturisce”.

G.C. Lei è stato diversi anni a Caracas..Cosa rimane di questa esperienza di vita nella sua ricerca artistica: la poesia unica di questa terra, i parossismi delle diseguaglianze, l’esplosione dei colori?

L.G. “Lasciai il mio studio di Roma nel 1977 trasferendomi a Caracas, lì aprii il mio nuovo studio e vi rimasi per parecchi anni, otto per l’esattezza. In quel Paese dove la vita era totalmente diversa da quella frenetica di Roma, presi subito consapevolezza che aleggiasse nella vita di tutti i giorni, nei movimenti, nelle conversazioni, una forma differente di tempo, quasi fosse dilatato, esteso, ed è stato proprio in questo non rincorrerlo che ho trovato lo spazio per cominciare il percorso sulle mie ‘nature morte’. Quella terra, con le sue luci e i suoi colori, violenti e morbidi al tempo stesso, possedeva una sorta di magica alchimia: i suoi incredibili spazi riuscivano a penetrare l’anima e mi permettevano di vestire le mie emozioni in un abbraccio nuovo e sicuramente insolito. Riuscivo a fotografare senza usare la macchina fotografica, perché le sensazioni erano tali e talmente intense che le migliaia di fotografie virtuali diventarono un incredibile archivio mnemonico impresso nella memoria e ancora oggi nei miei ricordi”.

G.C. Le sue foto famosissime di moda e di still-life quale denominatore hanno in comune?

L.G. “Penso che sia sempre la luce l’elemento fondamentale che dà forza all’ immagine, in grado di creare il pathos necessario a chi la guarda”.

G.C. Cosa è cambiato di più nel suo lavoro nel segmento pubblicitario negli ultimi anni? Tempistiche? Esigenze commerciali? Linguaggio più globale? O comunque quale aspetto macroscopico?      

L.G.”Da un certo punto di vista non si può non affermare che si è perso tutto il piacere di fare lavori commerciali ‘belli’, di spessore… Anche nell’ advertising la cultura è morta, come per altri settori in Italia. In generale possiamo dire a buon diritto che in troppi si improvvisano, pensano che fare foto non sia un lavoro, ma qualcosa di scontato”.

G.C. Ha fatto vedere live al MIA Photo Fair il funzionamento del Qr-Code My MyTemplArt® Authentication System applicato all’ autentica e l’interazione con le due app My TemplArt: cosa vuol dire far parte di questo progetto? Quanto è importante per un artista catalogare e storicizzare il proprio lavoro?

L.G. “Quando mi hanno presentato il progetto MyTemplArt ne sono rimasto assolutamente entusiasta ed è stato perciò un piacere, oltre che un grande onore, poter fare da “testimonial” a questo progetto durante il MIA Photo Fair 2016. Il problema dell’autentica di un Opera è sempre stato un punto cruciale per la tutela dell’ artista ma soprattutto per chi intende acquistare l’opera. Il sistema Qr-Code MyTemplArt® Authentication System dà finalmente una garanzia di autenticità inviolabile all’opera il che, nel mondo della fotografia Fine Art, è sicuramente di primaria importanza”.

Giulia Cassini ©

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