Altri tre motivi per visitare Villa Croce a Genova
Le ultime novità di Villa Croce con Paolo Scacchetti
Abbiamo già parlato ampiamente di Villa Croce in questo periodo eppure ci sono almeno altri tre buoni motivi per tornarci: il “museum studio” di Roberto Coda Zabetta, le “piccole invasioni malthusiane” di Marguerite Kahrl,e la vivace e ben studiata didattica promossa da un museo che non si riposa sugli allori dell’istituzione stessa, ma respira nella città portando ossigeno culturale e creando una coscienza profonda sull’arte moderna che in tante realtà italiane manca o non è così forte, così radicata come a Genova.
Se come ordine prendiamo semplicemente il progresso dei gradini la prima novità è l’opera “#FILMBOX01” MUSEUM STUDIO di Roberto Coda Zabetta, curata da Ilaria Bonacossa ( 3 maggio- 8 agosto 2016). Come spiega la stessa curatrice ” #FILMBOX01 inaugura un nuovo progetto del museo di Villa Croce in cui vengono messi in discussione i limiti tra lo spazio espositivo, la sua aurea e lo spazio intimo dello studio. Roberto Coda Zabetta è stato infatti invitato a trasformare una sala nascosta al primo piano del museo. Il progetto non ha avuto una data d’inaugurazione, ma verrà attivato con una serie di workshop, presentazioni, visite guidate e conferenze”. E’ qui che incontriamo- non solo metaforicamente visto che è il funzionario della Sezione Didattica- Paolo Scacchetti, l’anima del grande progetto didattico portato avanti in questi anni con passione e determinazione, andando sicuramente oltre i budget e gli orari con l’impegno personale di chi ama il lavoro che fa e di chi considera Villa Croce non solo una parte della propria vita, ma soprattutto della vita di tutti i cittadini e dei turisti che la visitano. Come spiega Scacchetti ” il ragionamento alla base di questa installazione è lo spazio rovesciato, l’opera che si rivela non all’esterno ma all’interno, portando in primo piano quello che di solito non si vede mai o di cui non ci si cura, cioè il retro, l’intelaiatura di un lavoro artistico. Ecco che i gradienti dell’installazione si configurano in nuovi rapporti dinamici, diversi a seconda dell’interlocutore dell’opera. Si alza il velo sulla proattività tra chi guarda e chi è guardato, tra chi fa succedere le cose e chi si aspetta che accadano; non a caso il titolo rimanda a un film, all’idea di movimento, di narrazione, spinge a vivere in una nuova dimensione prospettica dove siamo proprio noi i protagonisti che ci spostiamo ed interagiamo.” Infatti la porta strettissima di accesso invita, per paradosso, ad entrare, fa venir voglia di scoprire cosa c’è all’interno, ritrovandovi strati impalpabili di colore, sovrapposizioni di pigmenti che rendono l’idea del 3D, in una dimensione che sembra riprodurre immagini di spazi siderali a milioni di anni luce da noi, ma al contempo a noi così familiari, così vicini alla nostra anima.
All’ultimo piano invece troviamo “Piccole invasioni malthusiane” a cura di Ilara Bonacossa e Marco Scotini con Anna Lovecchio (dal 22 aprile al 12 giugno 2016) per indagare -con la collaborazione del Parco Arte Vivente di Torino- la figura artistica di Marguerite Kahrl, da sempre impegnata sul fronte dell’attivismo politico, influenzata dai principi della permacultura che ruota attorno ad un’etica di osservazione e cura del territorio quale alternativa possibile allo sfruttamento del suolo ed al consumismo fine a se stesso. Protagonisti niente affatto silenziosi, visto l’elevato grado di comunicazione e di empatia che suscitano nel visitatore, i “nobili selvaggi”, la cui iconografia si ispira a “Los Caprichos” di Francisco Goya e all’espressione “buon selvaggio” che a suo tempo anche J.J. Rousseau aveva ripreso da J. Dryden. Anche la scelta dei materiali non è certo casuale: canapa, lino e cotone sono tutti di origine naturale e legati alla storia del Canavese dove Marguerite Kahrl risiede da quattordici anni. L’arte diventa specchio anche del famoso progetto MOI tanto attuale viste le preziose strategie relazioni che incentivano forme di scambio, recupero e condivisione di scarti e risorse materiali e culturali , di cui tanto ci sarebbe bisogno in Europa. Come aggiunge Paolo Scacchetti “queste strane forme giocano sulla differenziazione vera o presunta oppure codificata sul bello e sul brutto, sul grottesco e sul tenero. All’interno di queste sale il visitatore annulla la distanza stereotipata delle proprie categorie mentali oltre a scoprire la piacevole fruizione di opere davvero godibili, che suscitano empatia. Anche la sapienza dell’allestimento aiuta con basamenti neutri voluti dall’artista, con echi classicheggianti, con una studiata illuminazione che, in un gioco di luci ed ombre allungate, permea dell’aurea classica opere estremamente contemporanee”.
Ma veniamo al terzo punto: la didattica. Un fattore non separato ma intimamente connesso da anni con le esposizioni di Villa Croce. Per parlarne sentiamo direttamente le parole del funzionario Paolo Scacchetti.
G.C. Brevemente e in chiave generale quali sono gli sviluppi didattici di Villa Croce negli ultimi anni?
P.S. “Gli sviluppi seguono una linea sempre voluta dal museo di Villa Croce da più di 30 anni per integrare ( oltre che con i tipici supporti scientifici-anche i più evoluti- delle mostre, con i cataloghi e quant’altro) l’aspetto puramente educativo e didattico, cioè l’entrata nel mondo delle scuole, il contatto diretto con gli studenti. Il museo vive anche attraverso le scuole e le scuole hanno bisogno del museo. Di solito cerchiamo di preparare tre incontri: uno a scuola, uno al museo ed uno variabile in base alle necessità che scaturiscono dal gruppo di lavoro. Mi occupo di didattica da 16 anni e coinvolgiamo circa 3900 studenti all’anno di ogni ordine e grado. Gli sviluppi didattici si sono evoluti nel tempo, si sono potenziati allargando sempre di più i propri orizzonti e dando vita a progetti sempre più strutturati e sartoriali, costruiti in base alle esigenze dell’utenza. Dalle semplici visite guidate si è passati a veri e propri laboratori fino ad attivare con le scuole delle sinergie capillari che accompagnano le classi durante tutto l’iter scolastico. In aggiunta a questo nel tempo sono cresciute le collaborazioni con enti ed associazioni per creare anche percorsi e zone di lavoro extrascolastiche. Penso all’associazione Aprés la nuit, ad esempio.”
G.C. Da un punto di vista didattico è più difficile veicolare l’arte moderna e contemporanea?
P.S.” Diversamente da tanti non credo proprio che l’arte contemporanea sia più difficile da spiegare perché è molto più vicina a noi di quanto possa sembrare. Noi viviamo all’interno del nostro tempo e con l’arte contemporanea: ci siamo dentro. Per dirlo con un principio zen molto noto il posto più semplice dove nascondere con cura una foglia è la foresta. Per questo a volte non ne abbiamo consapevolezza: si tratta di tirarla fuori questa coscienza per avere la chiave di lettura delle opere contemporanee. Sono difficili se vuole dire così perché non le abbiamo ancora catalogate e storicizzate. Ecco perché per spiegare le opere d’arte contemporanea non si può partire dal tetto, ma dal nostro tempo, all’origine dei problemi e dei linguaggi superando gli stereotipi ed arrivando via via all’astrazione”.
G.C. Come ci si sente a far parte di una istituzione importante come Villa Croce?
P.S. “Villa Croce è una seconda casa o meglio è una parte di me, ma non bisogna confondere il sé con la finalità del proprio ruolo. Noi siamo al lavoro perché Villa Croce appartenga tutti, sia davvero inclusiva, tanto come veicolo di talenti quanto di grandi nomi, parlando davvero ad una eterogeneità di persone e facendoci capire”.
I numeri e le mostre degli ultimi anni parlano da soli: Villa Croce è davvero il museo di tutti, non solo dei genovesi.
Giulia Cassini ©