Quando l’arte è zucchero l’ amaro è a sorpresa
A volte l’oggetto del desiderio è lecito, a volte meno, altre è solamente non convenzionale. Sul non convenzionale poggia la materia grigia dell’arte lungimirante, si schiarisce la voce l’attore del teatro che con fare beffardo celebra un eroe ingiustamente, scrive il giornalista che moltiplica su più livelli la percezione della realtà.
Capita poi, in rarissimi casi, che l’artista diventi anche voce narrante e cronista, portando sotto gli occhi del fruitore una visione immediata e aderente alla realtà mal celata dalla politica, dall’economia, dalla religione o da tutte quelle forze che tentano di imbrigliare l’ uomo nel precostituito, in quello che dovrebbe essere.
E’ questo il grande merito del lavoro di Marco Chiurato che imprime nelle opere d’arte una funzione psichica e di stimolo al ragionamento. C’è un nesso nelle sue creazioni tra quello che significherebbe mettere un freno e l’avanti tutta, senza riserve. L’armonia “del” e “nel” soggetto scaturisce di getto, non è cercata, è frutto semmai del lavoro intellettuale ai confini dell’arte concettuale. Mescola denuncia, ironia, ricordi, fatti realmente accaduti e la storia recente dall’olocausto all’omofobia passando dalla cristianità, dai diritti umani, dalla sessualità senza mai essere prevedibile. La sua non è denuncia fine a se stessa, ma un’idea che diventa il tutto – sia un’installazione come un’opera più tradizionale ( se così si può dire) – e che vomita incessantemente la sua profondità stridendo con l’informazione o con i dogmi a cui siamo abituati.
Di sicuro nei suoi lavori c’è un che di amniotico. C’è la corporeità che non tralascia le parti inerenti alla sfera sessuale ed anzi le celebra come le più autentiche, c’è un ritorno biblico all’infanzia non come inizio dorato ma come innocenza che si fa apoteosi dell’irreale (motivo per cui utilizza lo zucchero come materia da plasmare), ci sono gli scandali del nostro tempo realizzati con il pan di spagna, c’è il decorativismo dissacratorio ed irriverente dello zucchero e dell’albume pennellato sui corpi nudi e pronto a sciogliersi col calore della luce.
Accostamenti eclettici legati tra loro da nuovi parametri estetici e culturali che spingono verso l’ inedito aprendo gli orizzonti delle menti più strette.
Dedito all’arte dal 2005 ha ricevuto moltissimi riconoscimenti ed ha esposto in Italia e all’estero agli eventi più importanti come la Biennale di Venezia, Art Fair di Hong Kong e SetUp Ary Fair di Bologna, solo per citarne alcuni. Tra le opere più celebri “Hedonistic corruption”, “Sexhibitionism”, “Odio Marco Chiurato” (con Oliviero Toscani, Victoria Cabello e Renzo Rosso), “100% zucchero”, “Nato un papa se ne fa un altro”, “Fecero un deserto e lo chiamarono pace”.
Per i meno attenti è quello della culla di Cattelan, visto il dono non convenzionale ricevuto da Giada Cattelan (sorella dell’amico-collega Maurizio) per il figlio nato lo scorso mese che diventa subito installazione artistica con un curioso omaggio a Pablo Picasso ( e del resto l’erede di Marco Chiurato come poteva chiamarsi se non Sebastian Pablo?).
Per i più raffinati invece è l’artista di Marostica artefice delle opere del ciclo “Inumano” per celebrare il Giorno della Memoria, per non dimenticare una delle pagine più atroci della storia recente- la Shoah- nella prestigiosa sede accademica dell’ Università di Padova, nel gennaio di quest’anno a Palazzo del Bo alla presenza del Magnifico Rettore Rosario Rizzuto e del Prof. Giovanni Gozzini (Università di Siena) e del presidente della Comunità ebraica di Padova Davide Romanin Jacur. Un evento simbolico doppiamente importante per non perdere il filo della storia e perché si tratta di un’acquisizione conseguente l’installazione di Kounellis e una scultura di Pomodoro, tanto per capire la dimensione dell’ascesa artistica di Chiurato.
(si ringrazia per le courtesy stampa delle immagini Marco Chiurato, ndr)
Giulia Cassini ©
A TU PER TU CON MARCO CHIURATO, SEMPRE LASCIANDO FUORI GLI STEREOTIPI
G.C. Dove sta andando l’arte contemporanea in generale e quale direttrice hanno intrapreso i suoi ultimi lavori?
M.C. “L’arte contemporanea in generale sta andando nelle gallerie, la mia sta andando a male, nasce da un rapporto malato che suscita una sensazione sieropositiva o sieronegativa, mentre i miei ultimi lavori spero abbiano preso direzioni diverse dalla mia che negli ultimi nove mesi ha avuto un vuoto creativo, non sono più in grado di mantenerli in vita e quindi dovranno autosostenersi”.
G.C. Il suo ruolo di artista può essere paragonato a quello di un cronista d’inchiesta visto che indaga i nodi fondamentali dell’attualità con coerenza e senza limiti precostituiti?
M.C. “Penso di si, penso anche che un’ opera di un artista o di un cronista, per quanto sia bravo a realizzare qualcosa che emozioni non riesca a superare la realtà. Io sono arrivato al punto di fare performance in giro x il mondo scrivendo giorno e luogo in cui qualcuno ammazza qualcuno. Secondo lei posso raccontare attraverso un’ opera la Siria che superi i fatti reali? Siamo coerenti che abbiamo dei limiti!”.
G.C. Che ruolo ha la materia nei suoi lavori e con quale elemento è più libero di esprimersi?
M.C. “E’ il mio lavoro che ha un ruolo sulla materia, perché la mia materia è povera, e chi è povero non ha nessun ruolo! Stiamo parlando del mondo contemporaneo vero? E l’ elemento con cui sono più libero di esprimermi è la ricchezza, la ricchezza interiore che rubo alle persone”.
G.C. Un’anticipazione su un’opera a cui sta lavorando?
M.C. “È nata da uno schiaffo morale ricevuto ed uno schiaffo immorale reso, per ora gira ancora nello stomaco ed è lì lì x essere vomitata”.
Si rimanda il lettore al sito http://www.marcochiurato.com/
Tra le opere più dissacranti di Marco Chiurato con suo testo critico in courtesy per i lettori de L’Eco della Riviera:
Frame video INSPIRO IL TUO ESPIRO
Scaricabile al Link http://www.marcochiurato.com/2016/02/29/inspiro-il-tuo-espiro/
TESTO DI GIOVANNA LACEDRA
Fino all’ultimo respiro. Insieme.
Insieme dopotutto. Insieme nonostante tutto.
Insieme contro tutto. Persino contro noi stessi.
Stai con me.
Anche se respirarmi ti ammala. Anche se respirarti mi ammala.
Ma resta qua. Allacciato a me. Rimani.
Siamo già troppo lontani così come siamo.
Ora che sappiamo che tutto quello che avevamo è finito. Non finiamo anche noi.
Restiamo. Nello stesso respiro. Esaliamolo, come fosse l’ultimo.
Sono la tua vita. Tu sei la mia vita. Respiriamoci, finché morte non ci separi.
Se mi lasci mi uccidi. Se ti lascio ti uccido. Se mi lasci ti uccidi. Se ti lascio mi uccido.
Indissolubili. Due solitudini fasciate dalla stessa catena.
Senza più linguaggio, né orizzonti comuni. Senza più nulla che profondamente ci leghi.
Eppure così profondamente inseparabili.
Inseparabili nella paura. Paura della recisione di un cordone ormai in cancrena.
Paura di un’amputazione forse necessaria. Paura di non saperci sopravvivere.
“Tu sei l’aria che respiro” si dicono gli amanti. “Sei il mio ossigeno”, per ricordare all’altro che senza non potremmo più vivere. E allora “io ti amo, ti amo da morire”.
Morire per amore, morire nell’amore. Morire dell’amore come se fosse veleno.
Alle volte una storia non finisce perché si ha paura di restare soli.
Ci si aggrappa all’altro. Al ricordo che si ha dell’altro, a ciò che l’altro non è più.
Si pretende ancora e ancora ciò che l’altro non ci può dare. Si resta ad aspettare, per paura di un salto nel vuoto, che qualcosa cambi, pur consapevoli che nulla cambierà.
Eppure non ci si sposta da lì. Ci si aggrappa ad un’abitudine malsana. Ad una dipendenza inquinante. E nessuno dei due riesce a smettere.
E allora sì… ti amo, ti amo da morire! Sei l’aria che respiro!
Respiro il tuo espiro e ammalo l’aria insieme a te.
Questo video di Marco Chiurato è quasi una poesia. Una stasi cristallizzante che mette a nudo la verità. Le parole sarebbero certamente superflue. I dialoghi coprirebbero l’essenziale. L’essenziale è tutto nell’immobilità di quest’uomo e di questa donna che, tesi e ieratici, faticano a respirarsi. Sono l’uno anidrite carbonica dell’altra. Eppure non si spostano da lì. Da quel qui-ed-ora oncogeno: ritratto metaforico di una estrema condizione a due.
Opera”Cucire Vaginae”
struttura in ferro 60×170 cm portante un intreccio di 15.000 bacche di vaniglia
Vanilla planifolia: orchidea originaria dell’America Centrale, i cui frutti producono la spezia nota come vaniglia, dal lat. vagina, guaina e figurativamente guscio: poiché i semi vengono estratti tagliando il baccello lungo la sua lunghezza.
Totem: per estensione, la rappresentazione scultorea o pittorica di un entità naturale o soprannaturale alla quale si attribuisce una relazione speciale con singoli gruppi sociali, con particolare riferimento al lignaggio.
Infibulazione: mutilazione genitale femminile volta ad impedire l’amplesso sessuale. Consiste nel taglio, nella rimozione dei genitali esterni e nella conseguente cucitura della vulva, alla quale viene concesso un piccolo orifizio per le funzioni fisiologiche.
- Lei che fa?
- Cucio
- Cosa cuce? Una coperta, un girocollo?
- Cucio vaginae.
- Come dice, prego?
- Vagina in latino è la guaina, il bacello, da cui poi vaniglia.
- E perché cucirle insieme?
- Rammenta il peso, la consistenza della mutilazione genitale femminile.
- In quale modo?
- Vagina, in latino, è il fodero che custodisce una lama. Ha mai sentito dire sguainare una spada?
- Certo. Non vedo la connessione.
- Quando la guaina è rimossa, tutto viene esposto. Il fodero protegge la lama e l’incolumità di chi la porta. Senza, l’arma stessa perde efficacia e il controllo di questa diventa plausibile.
- La vagina sarebbe un’arma?
- Lo è per una certa cultura, se vogliamo chiamarla cultura. C’è chi ha ritenuto che fosse fonte di potere e un pericolo da tenere a bada.
Sfoderarla per ricucirla dentro, in profondità, dove nessuno, nemmeno lei stessa, possa ritrovarla, ma soltanto l’uomo, ecco, questo è stato fatto e succede ancora.
- E questo ordito di baccelli di vaniglia, dunque? A cosa serve?
- E’ un totem.
- Un totem? Quindi un simbolo tribale?
- E’ un emblema di culto, intorno al quale unirsi, ricongiungersi. Donne e uomini.
E’ un insegna, uno stemma al quale apparteniamo. Siamo una stessa gens e questo è principio della nostra discendenza.
- La vagina?
- Di più: il piacere femminile. La parte che viene rimossa, tagliata, esportata come fosse una formazione di tessuto maligna, bacino di spiriti nefasti.
Quella, il piacere femminile è il simbolo! Il totem, il culto, l’unico, che può mettere pace nel mondo. Il delicato piacere femminile, come un’orchidea, la vaniglia, e i suoi frutti preziosi d’aroma dolcissimo.