La Turchia brucia. Perchè? Intervista al regista Süleyman Sahin
“Erdogan dimettiti!” sono le urla che da piazza Taksim si spandono in tutte le maggiori città della Turchia. Le manifestazioni di questi mesi sono state represse con una ferocia inaudita e le immagini degli scontri hanno scioccato il panorama internazionale. Oltre 9,000 feriti e 5 morti, anche se diversi bloggers sostengono che le vittime siano state maggiori. Con l’accusa di terrorismo, sono stati centinai gli arrestati, tra cui una trentina di persone colpevoli solo di aver condiviso Tweets poco graditi al governo e i medici che hanno soccorso i manifestanti gravemente feriti nell’Hotel Ramada di Istanbul. Anche il fotografo veneto free lance, Mattia Cacciatori, è stato arrestato il 6 luglio mentre documentava le violenze della polizia; fortunatamente è stato rilasciato qualche giorno dopo.
Sembra il bollettino di guerra di una rivolta scoppiata in un regime totalitario, invece stiamo parlando della Repubblica Democratica Turca.
Nell’occhio del ciclone si trova il Primo Ministro, Recep Tayyip Erdogan, considerato il più importante leader politico dopo Mustafa Kemal Ataturk che nel 1923 fondò il moderno stato laico turco sulle ceneri dell’Impero Ottomano. Quando Erdogan prese legittimamente le redini del Paese nel 2002, la Turchia si trovava sull’orlo della bancarotta ed usciva da un periodo di governi corrotti e soggetti al potere ed ai golpe dell’esercito. In meno di 10 anni l’attuale Primo Ministro ha stabilizzato la situazione politica ed ha guidato il paese dalla profonda crisi del 2001 al boom economico che ha trasformato la Turchia nella 17esima più grande potenza economica al mondo. Il PIL è cresciuto in media del 5% per anno e gli stipendi triplicati. Inoltre, le sue riforme diedero la possibilità di iniziare le trattative per entrare nell’Unione Europea. In questo modo Erdogan riuscì a guadagnarsi l’approvazione internazionale e la Turchia divenne un modello di democrazia islamica moderata per i paesi emersi dalla Primavera Araba.
La domanda sorge spontanea: quali sono, allora, le motivazioni per una protesta così determinata che sta subendo una repressione così barbara?
Tutto ebbe inizio il 31 maggio. Erdogan diede l’ordine di disperdere, con la forza, i manifestanti pacifici che protestavano in difesa dell’ultimo polmone verde della città, Gezi Park. Ovviamente la sola decisione di radere al suolo il parco per far posto ad un nuovo centro commerciale può spiegare solo in parte la portata di queste rivolte. Un secondo fattore è indubbiamente la violenza indiscriminata della polizia. Un’altra motivazione è la decisione di costruire un terzo ponte sul Bosforo e di intitolarlo provocatoriamente a Yavus Sultan Selim che nel XVI secolo massacrò centinaia di Alawiti (etnia che compone il 15% della popolazione turca). Tuttavia, forse la ragione principale, è la paura che Erdogan stia tentando di Islamizzare la Turchia riportandola al fondamentalismo del passato pre-repubblicano. Alcuni esempi sono l’aver introdotto il divieto di vendere alcolici dalle 22 alle 06, il divieto di baciarsi in pubblico e l’aver tentato di vietare l’aborto e di condannare le adultere durante la sua prima legislatura. Per questo motivo tra i protestanti vi sono ambientalisti, laici, donne, pacifisti, rappresentati delle minoranze etniche e molti altri ancora. Ciò che li accomuna è la giovane età.
Nonostante non se ne parli più nei media internazionali, in Turchia si combatte ancora e per far luce su questa situazione ho intervistato un amico turco conosciuto a Londra nel 2010. Il suo nome è Süleyman Sahin. Nato a Berlino da genitori turchi nel 1971, vive ad Istambul da quando aveva 5 anni. È sposato ed ha una bambina di appena 10 mesi. Süleyman è un regista ed è proprietario di una piccola casa di produzione cinematografica e televisiva. Si definisce un laico attivista. Crede nella cultura, nell’intelletto e nella scienza come mezzi per un mondo migliore dove regnano pace e giustizia.
Perché, nonostante i successi ottenuti da Erdogan, i giovani turchi stanno scendendo in piazza?
Innanzi tutto, per poter capire, bisognerebbe aprire una parentesi sulla storia della Turchia e su come Erdogan ed il suo Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (AKP) abbiano ottenuto il potere. Nel 1923 Ataturk, eroe della patria, fondò la moderna Repubblica Turca basata su valori laici e democratici. Dalla sua nascita non è mai stata una nazione islamica e fino agli anni ’40 ha assistito a straordinarie riforme sotto il punto di vista civile ed economico. Tuttavia, dagli anni ’50 in avanti, politiche errate portarono al susseguirsi di governi corrotti ed incompetenti che aprirono la strada alla profonda crisi del 2001. In quell’anno, come se non bastasse, un terribile terremoto piegò la nazione; le vittime furono oltre 40mila. In questo contesto di crisi politica, sociale ed economica, nel quale le famiglie erano costrette a vivere con un tasso di inflazione vicino al 100%, fa capolinea l’AKP ed il suo leader. Partito conservatore e detentore di valori islamici, fece presa sul senso di impotenza della popolazione che in quel periodo vedeva Dio come unica ancora di salvezza. Ciò che va detto, però, è che la crisi non venne realmente risolta come si crede, ma venne affrontata nei peggiore dei modi: svendendo i beni e le proprietà dello stato. La popolazione colta è cosciente che il tasso di produzione turco è in continuo calo (ndr – Anche il PIL sta diminuendo significativamente dal 2009). Ciò che è peggio, è che solo ora stiamo cominciando a vedere i gravi risultati. Ovviamente, quindi, la distruzione di Gezi Park è solo uno dei tanti motivi che hanno spinto i turchi a scendere nelle piazze. Questa reazione è dovuta anche alla libertà ed ai diritti che piano piano ci stanno venendo sottratti. Persone vengono tenute anni in carcere con accuse assurde e mai provate, solo per il semplice fatto di avere un’opinione diversa da quella del governo. Molti perdono la vita per la violenza indiscriminata ed assolutamente non necessaria della polizia. Il sistema educativo e sanitario vengono smantellati anno dopo anno e stanno utilizzando la legge per reprimere l’opposizione ed i diritti civili. Sono convinto del fatto che Erdogan stia tentando di islamizzare il Paese riportandolo al periodo precedente alla nascita della Turchia laica. Nel corso della storia il genere umano ha combattuto contro l’ignoranza e l’oscurantismo religioso. L’intelletto, l’arte e la cultura vinceranno contro l’intolleranza religiosa.
Nel 2015 Erdogan terminerà il suo mandato e per un regolamento interno al suo partito non potrà candidarsi per la quarta volta alla carica di Primo Ministro. Si teme però che stia cercando degli escamotage per mantenere il potere. È una possibilità reale?
La storia è piena di esempi di cosa sia capace un uomo per la brama di potere. Credo che la sedia da regista gli faccia talmente gola che non sarà capace di lasciarla così facilmente (ndr – Vi è il sospetto che voglia cambiare la costituzione elargendo maggiori poteri al Presidente della Repubblica per poi concorrere per quella carica). A mio parere le motivazioni sono tre. Innanzitutto, non ha alcuna intenzione di perdere i privilegi di cui dispone attualmente ed i benefici di essere al comando. In secondo luogo, Tayyip Erdogan, sente di non aver completato la sua missione: distruggere la Repubblica Democratica turca e creare una dittatura islamica. La terza motivazione è psicologica e colpisce tutti i dittatori. La loro estrema presunzione e le loro manie di grandezza li porta alla follia e li rende ciechi. Il loro scopo è quello di distruggere tutti gli anelli della catena di cui si compone uno stato e rimanere l’unico enorme anello con poteri assoluti. Senza gli eventi di Gezi Park questa possibilità avrebbe forse più opportunità di trasformarsi in realtà. Ora, però, il popolo turco è cosciente e un tentativo del genere porterebbe a risultati drammatici.
Il magazine inglese “The Economist” accusa il Partito Popolare Repubblicano (CHP), fondato da Ataturk, di non essere un oppositore credibile. Cosa ne pensi?
Indubbiamente c’è del vero in ciò che scrive l’Economist. Il CHP è stato il partito che ha creato la Turchia, ma negli ultimi 50/60 anni non è stato in grado di mantenere con successo le linee politiche su cui si fonda. La sua immagine è diventata quella di semplice “partito di opposizione” e di fatto sta collezionando un insuccesso dopo l’altro.
Qual è il ruolo dei social networks nelle proteste di Piazza Taksim e qual è il ruolo dei giornalisti in Turchia?
I social networks come Facebook e Twitter hanno giocato un ruolo fondamentale. Senza di essi, probabilmente, le proteste non avrebbero raggiunto tale importanza. Il loro ruolo è fondamentale soprattutto perché la maggior parte dei media ufficiali sono sotto il diretto controllo della censura governativa. La maggior parte dei magnati dei media operano anche in altri settori dell’economia. Il governo favoreggia le loro compagnie in cambio del controllo sull’informazione. Ad esempio, è il governo che decide il team di giornalisti. Inoltre, i direttori delle testate e dei telegiornali licenziano chi non si attiene alle linee dettate dal Primo Ministro. I media di opposizione, invece, vengono schiacciati da assurde imposte finché non sono costretti a rinunciare e vendere a più grandi compagnie già sotto l’ombrello dell’AKP. In questo sistema corrotto Twitter e Facebook sono diventati un oceano di informazione libera. Erdogan sta cominciando ad accorgersi del pericolo che proviene da questi mezzi di comunicazione e sta tentando di fermarli con la forza. Da quando sono scoppiate le proteste molti ragazzi sono stati arrestati sulla base di messaggi postati sulla rete. Le loro case sono state perquisite e sono stati soggetti di forti pressioni psicologiche. L’intento è quello di spaventare ed intimidire. In parte hanno avuto successo: ormai tanti hanno paura di pubblicare, sulle proprie pagine web, critiche nei confronti del governo.
Riguardo il tuo settore, un regista è libero di girare un film o è anche lui sottoposto alla censura?
Fino a 5 anni fa la TV ed il cinema hanno assistito ad una rapida ascesa. Produzioni di grande qualità si susseguivano una dopo l’altra. Ora, con i recenti sviluppi socio-politici, la censura è riscontrabile in tutti i settori artistici. Il cinema gode di maggiori libertà rispetto alla TV, ma i produttori critici nei confronti del governo non ricevono i fondi statali e sono costretti ad autofinanziarsi. Ataturk disse: “Una nazione senza arte avrebbe perso una delle sue arterie primarie”. Dobbiamo resistere in nome dell’arte e del libero pensiero.
L’art. 35 dello Statuto delle Forze Armate turche recita: “l’esercito ha il dovere di proteggere la Repubblica e vigilare su di essa”. Qual è il ruolo dell’esercito nel tuo Paese e qual è stato il suo ruolo nelle proteste?
In Turchia l’esercito è visto di buon occhio. Strano, ma vero. La Repubblica turca è stata fondata sul trionfo militare e, nonostante abbia a volte abusato dell’art. 35 per giustificare alcuni golpe (l’ultimo nel 1980), l’esercito è garante della laicità e della democrazia istituite da Ataturk. Con la scusa di evitare nuovi colpi di stato Erdogan ha smantellato l’esercito arrestando, nel corso della sua prima legislatura, tutti gli ufficiali ed i militari a loro legati con l’accusa di coordinare organizzazioni terroristiche. Inoltre, qualche settimana fa, è stata approvata la modifica dell’art. 35 per la quale l’esercito può intervenire solo in difesa del suolo turco contro minacce dall’estero. Il risultato è stato che i militari non hanno e non possono avere alcun ruolo nelle recenti proteste.
Molti hanno tracciato dei parallelismi tra le proteste di Piazza Taksim e quelle di Piazza Tahrir. Altri affermano che sono due fenomeni differenti. Qual è la tua opinione?
Da quello che ho letto e sentito, ci sono delle somiglianze soprattutto in quello che viene chiesto. In Egitto, però, la popolazione si è ribellata per chiedere diritti fondamentali e libertà; mentre i turchi protestano contro la repressione di diritti che già hanno. Loro combattono per la democrazia, noi combattiamo contro forze anti-democratiche. I popoli arabi sono stanchi di vivere sotto la Shari’a e la Turchia è un esempio perfetto di paese mussulmano democratico. Questi valori per cui ci stiamo battendo sono quelli che ci sono stati dati nel 1923. Fino a qualche anno fa abbiamo vissuto senza leggi imposte dalla religione; i diritti delle donne non venivano violati e tutti potevano godere della libertà e dei moderni diritti civili. Credo che i tentativi del governo, negli ultimi anni, siano volti a cancellare tutto questo.
Qual è il futuro della Turchia?
Credo e spero che in futuro il buon senso, l’etica, la legge, l’amore, la tolleranza, la scienza, l’arte e la ragione regnino in Turchia. A breve termine potrebbero esserci non pochi problemi siccome la politica del Primo Ministro e del suo partito sta dividendo il popolo portando conflitti anche di natura violenta. Ma gli eventi di Gezi Park ci stanno mostrando una gioventù, prima considerata apatica e priva di senso critico, prendersi le sue responsabilità ed impegnarsi per il futuro del proprio Paese rischiando letteralmente la vita davanti le gru e formando cordoni tra la polizia e gli agitatori. Questi giovani, accusati di “terrorismo” da Tayyip Erdogan sono la speranza. Sono la luce. Questi giovani sono il Sole del luminoso futuro che ci attende. Come diciamo in Turchia: “Il Sole non può essere seppellito sotto il fango”.
Simone Sarchi