La mostra Warhol Pop Society a Palazzo Ducale a Genova curata da Luca Beatrice ha il grande pregio di indurre il visitatore al ragionamento, non alla passiva fruizione. Del resto pochi artisti come Warhol inducono l’appassionato d’arte meno sincero a credere di capire tutto al primo sguardo. Mai convinzione fu più errata. Persino i critici hanno spesso visioni diametralmente opposte, per un genio che non ha lasciato mai nulla al caso. Un grande dell’arte che in realtà era fragile: fragile nell’ infanzia e nell’ adolescenza per il fisico gracile che contrasta col suo egocentrismo, fragile per le scelte di vita, per gli spostamenti, per il cambio di vita in cui dapprima ha portato con sé la madre, non accettato per le convinzioni personali, gracile per il fato che gli fa assaporare il dramma dell’attentato che ha cercato sempre di esorcizzare: “ ho sempre avuto il sospetto che, invece di vivere un’esistenza reale, stessi guardando la televisione. Quando ti capita qualcosa davvero, è come guardare la tv: non senti niente. Nel preciso istante in cui mi sparavano seppi che stavo guardando la televisione”. La televisione per Warhol è ben presto l’ idea celebrità e la celebrità passa sempre attraverso la rappresentazione, l’immagine. Ma l’ immagine per Warhol, parafrasando McLuhan, è quella più autentica, nel significato religioso del Termine: Andy Warhol era cattolico e, secondo gli insegnamenti della Sacra Scrittura, l’immagine non è la cosa stessa, ma la rappresentazione della cosa ed ha un ruolo comunicativo imprescindibile. Di più: l’immagine è stilizzata, semplificata per essere intellegibile. Ha il puro valore simbolico di suggerire il riferimento a un contenuto più alto. Il canone reintroduce la trascendenza dell’idea. Parimenti Warhol tratta le immagini e i soggetti che occupano integralmente le sue opere quali icone dell’immaginario collettivo santificandolo, portandolo sugli altari dei credo della massa. L’opera d’arte perde l’aura dell’unicità per entrare nel concetto di serie, del reiterato, quasi a sfidare la banalità del contemporaneo, come spiega nel testo “La filosofia di Andy Warhol da A a B e viceversa”. I cardini che attraversano la vita e l’opera di Warhol sono infatti l’oggettività e la ripetizione. Con la tecnica serigrafica Warhol moltiplica in serie le sue opere: non c’è più né unicità né individualità, tutto è livellato dall’onda d’urto della comunicazione di massa globale. Niente è di facile interpretazione come sembra. Sebbene Arthur Danto sostenesse che le opere di Andy Warhol rappresentassero dei ready made siamo più inclini alla tesi opposta di Maurizio Ferraris per cui lungi dall’essere un oggetto trovato e messo in mostra con un gesto nichilistico, è al contrario e letteralmente la magnificazione di aspetti della nostra vita, della vita delle società di massa e della pubblicità che ci vuol dire: guarda come è bello il tuo mondo, guarda che splendore, come sono belle quelle scatole (Brillo Soap Pads Box, 1964, Inchiostro serigrafico e pittura su compensato). Perché in effetti il design commerciale è bello. E sono belle anche le dive e le donne della politica, del cinema, dello spettacolo, Liz Taylor è magnetica quanto Marilyn Monroe ma di una bellezza spasmodica, non ricercata, come suprema è la forza che promana dai ritratti del potere ( Mao ad esempio, con le opere tutte data 1972 ovvero l’anno dell’incontro bilaterale Stati Uniti e Cina) o il terribile come la morte (Skull con il teschio macabro in primo piano) e il terribile (la sedia elettrica) . Sono belli e rilucenti anche i soldi, come “Dollar Sign”, 1981,acrilico e serigrafia su tela. Come scrive Carlo Freccero “L’opera diventa merce, mercato, e l’icona del dollaro diventa il simbolo del valore non ideologico, ma venale dell’opera d’arte”. La mostra si divide in sezioni esaustive lungo un percorso che va dalle “Icone”, ai “Ritratti”, alla “Pubblicità”, ai “Disegni”, a “Warhol e l’Italia” a Polaroid. Facile ritrovare nella prima parte dell’esposizione persone comuni e vip come “Marilyn”, 1967, serigrafia su carta, “Self Portrait”, 1986, acrilico e inchiostro serigrafico su tela, mentre tra i ritratti il più celebre è “Liza Minnelli”, 1978, serigrafia su tela, seguito dalle polaroid come “Mick Jagger”, 1977, o “Warhol in Drag”, 1981. La pubblicità è un altro nucleo fondamentale del percorso artistico di Warhol, come dichiara Luca Beatrice all’inaugurazione, tra i perché a quasi 30 anni dalla morte le opere di Warhol lo rendano ancora vivo, perché continuano a far discutere, attraverso i temi forti, come la pubblicità, ad esempio quando crea i Drawings for a Boy Book, in cui disegna corpi di giovani maschi lasciando percepire una ambiguità sessuale con una piacevole leggerezza compositiva o, tra il 1960 e 1962, quando disegna Campbell’s Soup, Ketchup Heinz, Coca-Cola, prima ancora di passare alla tecnica serigrafica. Quindi sezioni non temporali ma per argomenti o per processo: sono state messe insieme anche delle opere attraverso la comunanza di linguaggio come i disegni che rappresentano un iter importante dagli anni Cinquanta, Warhol ha sempre disegnato per mantenersi, per trovare lavoro anche quando non era famoso. Di rilievo anche la parte dedicata all’ Italia con l’incontro dell’alta moda attraverso Giorgio Armani. Tra le Polaroid invece i “drag” più noti degli anni Ottanta fino all’ autoritratto che lo rende celebre con l’inseparabile parrucca argento. Come commenta Maurizio Ferraris “resta qualcosa che non può mancare di far sorridere. Al suo apparire, in Europa, le opere di Warhol vennero interpretate da molti come una critica della società dei consumi. Sembrava inconcepibile che un artista, un intellettuale, un rivoltoso professionale potesse essere al tempo stesso un consumista, un patriota, un innamorato del suo mondo”. La grandezza di Warhol è anche questa: evidenziare le grandi distorsioni della comunicazione, nella pubblicità come nella pura arte.

 

Giulia Cassini ©
Appuntamenti intorno alla mostra Warhol Pop Society:
16 novembre Piero Manzoni- Merda d’artista e altre storie. Con Flaminio Gualdoni ore 17,45
23 novembre Lucio Fontata-Un taglio verso lo spazio. Con Fabio Cavallucci, ore 17,45
30 novembre Mimmo Rotella-Strappi d’artista. Con Ludovico Pratesi, ore 17,45
7 dicembre Alighiero Bo’h’etti-Giocare in nome dell’artista. Con Marco Vallora, ore 17,45
Tutte a Palazzo Ducale, in Sala Liguria con curatela di Anna Orlando.

foto curtesy ufficio stampa Palazzo Ducale
Warhol Pop Society
Dal 21-10-2016 al 26-02-2017
Orari: lunedì 14,30-19; martedì-mercoledì, giovedì, sabato, domenica 9,30-19, venerdì 9,30-22.
Biglietti: intero 13€, ridotto 11€.
Info: 0109868057

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