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Se è vero che in ogni italiano si nasconde un poeta, il mio vate non vuol saperne di uscire e se, alla fine, venisse fuori, di fronte a una realtà sconfortante come quella odierna il suo non sarebbe il dolce stil novo ma l’aspra invettiva di Jim Morrison: “Wake up!”, svegliati!
Ma chi si dovrebbe svegliare, oggi?
Sono certo che a questa domanda lui darebbe una risposta controcorrente, quasi blasfema, appunto da poeta maledetto.
Perchè le rivoluzioni nascono così, da un sasso, da uno sberleffo, da un grido, da un inno, da un sogno o da una poesia che sfidano l’Autorità quando la sua organizzazione formale fondata su teorie sconfitte dal tempo e dalle cose è soltanto apparente mentre nella sostanza è disorganizzata e sta disgregandosi.
Ha detto bene quel cane da tartufi che è sempre stato Claudio Scajola: “Ricostruirò la destra!”, ma come al solito ha preso la strada sbagliata e subito dopo ci è toccato vederlo in prima fila al casinò dove sottoterra invece dei deliziosi tuberi poteva soltanto trovare le ossa di Montanelli che si rivoltavano al convegno di quello che era stato il suo giornale.

La destra da ricostruire, gli direbbe il poeta che è in me, non è un Partito politico da organizzare con tanto di marchio brevettato, logo, uffici, tessere e gagliardetti ma un modo di concepire la vita da parte di chi ha imparato a “disprezzare la democrazia con rispetto”, come in gioventù il settimanale di Mario Tedeschi e di Gianna Preda ci ha ricordato. Oltre a contraddizione, questa potrebbe suonare quasi una bestemmia, dicevo prima, se tra i molti che lo hanno imparato non ci fosse anche un campione di democrazia, quel sir Winston Churchill che ebbe a definirla la peggior forma di governo tranne tutte le altre.
E’ uno stato d’animo che non mi ha impedito di militare per tanti decenni in un grande Partito e che oggi non mi impedisce di rimpiangerlo, benché il suo cognome fosse esattamente quello.
Perché tutto dipende dal rispetto che si ha della democrazia, come a Torino sui banchi dell’università ammoniva Bobbio nel temperare il pensiero aspramente critico del padre della scienza politica moderna, quel Gaetano Mosca, da lui descritto come tenace, intransigente e incorreggibile nemico e detrattore della sua versione parlamentare senza però essere un bieco reazionario e nostalgico dell’assolutismo, cioè un “fascista ante litteram”.
Non riesco a immaginare come oggi, osservando le cose, il mio antico professore correggerebbe il suo giudizio su Mosca, magari gli chiederebbe scusa e lo chiamerebbe profeta. Ingiallite dal tempo mi sono riletto, infatti, le pagine degli “Elementi di scienza politica” dove, con anticipo di un secolo, si preconizzava il “Porcellum” e la “Casta” con queste parole: “Non è la formula politica che determina il modo di formazione della classe politica, ma al contrario è questa che sempre adotta quella formula che più le conviene”.

E sappiamo dove pian piano ci ha portati la “formula politica” dettata dalla convenienza: prima ci ha tuffati nella palude dell’asfissiante autoreferenzialità della élite consociativa dominante, minoritaria ma detentrice del potere reale, poi ci ha portati allo svuotamento del Parlamento con la caduta anche dell’ultimo velo di ipocrisia che nascondeva l’inganno di un popolo sovrano che in Parlamento si “autodetermina” e infine ci ha sprofondati nella merda e nel ridicolo col “Rex Fatuus” e le sue evasioni erotiche e fiscali.
Insomma, nel nome della destra liberale questa “classe politica” l’ha sputtanata trescando sottobanco con la sinistra e ha disprezzato la democrazia negandole ogni rispetto anche soltanto formale e giuridico per le sue regole, fino a superare anche quelle della decenza.
Se l’eredità che senza beneficio di inventario lascia alle generazioni future fosse soltanto economica tutto non sarebbe perduto, come dalle parti di Arcore, alla Bicocca, Francesco I° scriveva a sua madre, ma non è così e questa per chi ha nel cuore l’onore e i valori della destra è la vera tragedia nel ricordo di ciò che Tedeschi diceva dei conservatori, che in Italia non hanno più nulla da conservare tranne, appunto, l’onore.

L’onore lo avevano perduto già nel luglio del ’93 quando qualcuno ha preteso di sdoganare dal fascismo coloro che fascisti non erano ma ne custodivano il rimpianto nel cuore e si consolavano scimmiottando i modi e gli orpelli di un movimento politico datato e defunto l’8 settembre di cinquant’anni prima, figlio di un’epoca storica che va dal primo dopoguerra al secondo, molti dei quali, purtroppo, in seguito non sapranno resistere alla tentazione della carriera politica, dei ministeri, delle prebende e dei talk-show e finiranno sedotti, abbandonati e sciolti nell’acido di un Partito di plastica.

Quanto ai valori, la destra li ha perduti strada facendo, confusi nella melassa dell’anticomunismo viscerale di un Re Ubu che in suo nome difende i ricchi dall’assalto dei poveri, come succede ultimamente con l’IMU sulla prima casa in fastose dimore e castelli equiparati ai bilocali con mutuo nelle periferie metropolitane.
Ma la tragedia, lo dicevo prima, non è economica, perché in politica i valori di destra non hanno prezzo e, con buona pace di Monti, non si identificano con quelli quotati a Francoforte, Londra e New York.
A questo punto il poeta che è nascosto in me spiegherebbe in versi che destinatari della sveglia sono tutti e nessuno, chiunque uomo e donna coltivi determinati valori di fondo, che sono eterni e universali e non patrimonio di un Partito-azienda, di una “holding” finanziaria e neppure di una classe politica.
Insomma, valori ecumenici e senza padroni, ai quali penso quando, come un Nanni Moretti alla rovescia, vorrei tanto che qui nel nostro piccolo in Riviera come a Roma e in Europa, qualcuno finalmente si svegliasse e facesse davvero “qualcosa di destra”.
Però, prima di tutto, questa maggioranza silenziosa dovrebbe tornare in sé e recuperare DNA e buon senso.

E’ una pregiudiziale che impone la rimozione delle incrostazioni mentali che nell’immaginario collettivo si sono formate sull’idea di destra e che l’hanno delegittimata e screditata.
Materiale per gli archivi della Storia minore e della cronaca, murales infantili e sguaiati, abuso di pellame, borchie e tattoo, paroloni disinformati sui social network e tante piccole conventicole chiuse in sé stesse di gente tignosa e piena di superbia e di sdegno, individui in perenne discordia tra loro.
Sotto questa crosta umana c’è il ventre molle della destra, quella massa di persone ragionevoli, composte, aperte e solidali, silenti e laboriose, che finalmente dovrebbe svegliarsi. Ognuno di loro è un oscuro Prometeo, un eroe a sua insaputa, il protagonista ignoto della quotidiana battaglia per sopravvivere.
Essere di destra per questa moltitudine di galantuomini vuol dire tutto questo, tirando la carretta qui nel Ponente ligure come a Roma o in qualunque altra parte del mondo dove la fuga delle braccia e dei cervelli li ha portati.
Il loro riscatto, con buona pace di Scajola, non potrà mai avvenire dalla combriccola che a Sanremo si è esibita nel teatrino del casinò.
C’è bisogno di leader forti e credibili, senza ombre e senza padroni, che si mettano alla testa di una pacifica rivoluzione e soprattutto che sappiano il significato di due parole: onore e merito.

Bruno Giri

 

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