Quel mondo “appeso a un filo” di Roberta Pizzorno
Niente è più distante da un esercizio di stile o da un divertissement: tutte le opere di Roberta Pizzorno mostrano al contrario un’aura di sacralità, uno sforzo interiore di ricerca e una veggenza che va oltre i segni della superficie. Le tele e i supporti su cui lavora sono epidermidi sintetiche che, al pari di quella umana, mostrano tutti i segni del vissuto, tutta la luminosità del positivo e i ristagni delle difficoltà o delle patologie. Di fatto, sono opere “viventi”, che trasmettono più di un’emozione.
Dipenderà dal lavoro che ha compiuto in primo luogo su se stessa, con una ricerca mentale e fisica, con le tecniche della meditazione, dello yoga, promanerà dal suo vissuto lavorativo come perenne ricerca creativa per Dolce & Gabbana, Gian Paolo Tomasi, Galleria Cà di Frà, per la “Biennale Internazionale Arte Contemporanea Malindi” e così via o forse, per la maggioranza, è un dono innato. Alla sua ricerca artistica con paralleli tra i frutti di dieci anni fa e quelli più recenti verrà dedicata una mostra alla Galerie Charlotte Art di Mentone dal 2 maggio, mentre i prossimi eventi la vedranno impegnata a Matera, a Venezia e a Spoleto.
Ogni suo lavoro racconta una storia come in “Vieni via con me,” dove trae spunto da una vicenda personale. A volte sono invece una cartolina intima dell’anima di un luogo come il Marocco e di un porto (quello del suo buen retiro), dove ci sono le mura che racchiudono i negozi e i gatti malandrini con tanto di lisca in bocca, come nei fumetti. Gli oggetti si tramutano nell’essenziale, in una sorta di calligrafia artistica capace di trasmettere una lettura allo stesso tempo personale ed universale del mondo e dei sentimenti che vi ruotano attorno, delineando in purezza tra bianco e nero, con tratti sicuri a volte riscaldati da fondi acquerellati come negli ultimi lavori.
Fiorisce una raffigurazione cosmica, un cerchio, un mandala nel suo significato buddista di immagine che riflette una situazione, di cosmo in divenire a partire dal centro oppure di immagini mentali. Sono anche fotografie sonore, con il cerchio protettivo di tante danze popolari, sono le vibrazioni che si espandono di festival della musica africani (come il “Gnawa Festival Essaouira”), dove è stata a lungo, tra l’altro anche da giovanissima con un viaggio alla ricerca di se stessa, prima ancora che delle bellezze di un territorio forte e magico. Tutto nella sua vita ha una complicata dimensione immateriale, una visione, un rapporto primordiale con la natura che va ben oltre “il qui e ora”.
Facile anche trovare nelle sue opere i riferimenti al compagno di vita e alla meditazione con l’occhio dello spirito, il testimone della mente del corpo e della natura che non entra mai nella corrente del tempo e quindi eleva la sua in un’altra dimensione che trascende il semplice oggetto. E non a caso il suo hashtag è #allechineminchino.
Esili fili a cui è appeso il mondo, che ci conducono in un viaggio interiore per ognuno diverso, ma che lascia in comune un’idea : “less is more”. Il ritorno all’essenziale, al trascendere dal corpo attraverso la mente, alla nostra anima. Che è la prima e l’ultima libertà.
Giulia Cassini ©