Videogioco da paura, quando la tecnologia diventa pericolosa
Sul quotidiano londinese Metro è comparsa la notizia di un nuovo videogioco che presto sarà sul mercato. Si tratta di Nevermind, un nuovo game in grado di riconoscere le tue paure. Mentre sei nel pieno della concitazione, quando le dita scorrono veloci sui pulsanti, lui sa riconoscere le tue ansie e le scatena mettendo scene di violenza all’improvviso oppure cercando di aumentare le difficoltà. Un nuovo modo quindi di intendere l’attività ludica, dove al centro più che mai c’è l’utente. Era già successo con il fenomeno 3d per il cinema, in cui lo schermo sembra davvero l’ambiente reale, e adesso anche il videogame è diventato forse troppo coinvolgente. Cosa può però comportare questo per la psiche, è un bene questa miscela di reale e irreale o si rischia di avere un cortocircuito?
Per avere un parere più scientifico abbiamo chiesto a Roberto Ravera, primario di Psicologia Clinica della Asl Imperiese.
Giocare a qualcosa come Nevermind cosa può voler dire in termini psicologici?
Siamo di fronte all’ennesima prova della pervasività della macchina nei confronti dell’uomo. Il tecnologico è sempre più preponderante nella vita di tutti i giorni quasi a voler sostituire la vita stessa. L’uomo è bombardato continuamente da messaggi artificiali che catalizza come reali creando scompensi. E’ come se la mente fosse ingannata continuamente.
Che differenza c’è tra un videogioco ‘normale’ e questo ultimo modello?
Il videogioco in generale può dare dipendenza e diventa un’urgenza a livello fisico difficile da placare. Si placa solo giocando, diventa così come bere o mangiare. In molti dicono ‘Ma è solo un videogioco, posso smettere quando voglio’ in realtà non è così. E’ molto facile cadere nella trappola, proprio come l’alcol o la dipendenza dalla pornografia. Per quanto riguarda questo videogioco la situazione si complica perché in questo caso la macchina “ti ascolta”. E’ come se fosse un essere a tutti gli effetti che ti guida e che ti comanda. Oltre a cadere nella trappola, l’utente rischia di restarci.
Quindi questa forma di interazione tra uomo è macchina è negativa a tutti gli effetti?
Non è proprio così, dipende dalle circostanze. Nella psicologia, nella ricerca, vengono utilizzati videogiochi di questo tipo per cercare di sconfiggere le patologie. Ricreano l’ambiente circostante e grazie a questo possiamo seguire meglio la ricettività dei pazienti, ma appunto questo è un utilizzo medico, guidato, fatto da esperti. Se invece impiantiamo questo tipo di videogioco nel quotidiano, le cose sono diverse. Noi utilizziamo videogiochi interattivi per curare, i videogiochi sul mercato invece sono fatti per intrattenere, non a caso Nevermind è un gioco horror. E l’horror è come la pornografia, crea dipendenza e quindi siamo di fronte a un problema molto serio.
Rischiamo di avere una generazione di disorientati, di disadattati che non sanno più distinguere il vero dal falso.
Francesco Basso