Il reportage dello straordinario evento “Keeping Time”, la prima mostra personale di Johanna Billing in un museo italiano, nello specifico Villa Croce a Genova, grazie all’approfondito e sempre puntuale lavoro di Ilaria Bonacossa sarà sul prossimo numero de L’Eco della Riviera, ma per darvi l’idea della preziosità dell’esposizione ecco il nostro giro-mostra alla preview stampa di ieri con Ginevra D’Oria, al suo debutto come assistente curatore per un’occasione che si preannuncia davvero come un vero e proprio peso massimo della programmazione di tutto il nord Italia.

Davvero innovativi i quattro film in mostra, tutti ambientati in luoghi diversi (Oslo, Norvegia; Pulheim, Germania; Roma; Iasi, Romania) dove al suono viene dato lo stesso valore delle immagini e dove il parlato è annullato da un vago rumore di sottofondo.
Il primo impatto restituisce già l’idea che si sta affrontando qualcosa di nuovo, vuoi per il video collocato in alto quasi a soffitto o per le casse stereo parimenti “galleggianti”, vuoi per la moquette color del mare o ancora per le persiane socchiuse quanto basta per regalare una penombra ricercata e calibrata senza il minimo ausilio di ulteriori luci artificiali.

Se in questa prima opera  (Where she is at 7′ 35” loop 2001) in mostra la scena è quella di una piscina all’ aperto a Oslo degli anni Trenta- periodo in cui lo sport era non solo valorizzato ma davvero sinonimo di salute- l’oggi trasla tutto nella quotidianità dove l’ordine di demolizione della stessa è già noto, in un periodo storico dove solo 35% circa dei giovani pratica sport e dove l’indice di abbandono dopo i 14 anni è altissimo con conseguenti effetti negativi sullo sviluppo e sulla salute (chi non pratica sport incorre più frequentemente in patologie cardiovascolari, in diabete di tipo 2, in tumore al seno e al colon).
Così la protagonista si sposta sul trampolino senza sapere cosa fare, in un crescendo di ansie e di paure, mentre gli spettatori attoniti guardano sia il mare sia la piscina sia la protagonista. Come continua Ginevra D’Oria “la denuncia sociale è un aspetto ricorrente nei lavori di Billing, sono studi sociologici sulle persone dove la regista quasi si annulla per fornire solamente un canovaccio e dare agli attori, alle comparse, ai volontari – visto che spesso non sono affatto professionisti- la possibilità di improvvisare. Sono una specie di reality molto più interessante dei reality show a cui siamo abituati e anche sicuramente molto più veri”.
Il secondo video su Pulheim in Germania (Pulheim Jam Session 22’40” loop 2015)  vede la musica protagonista, visto che le improvvisazioni modernissime e ritmate di Edda Magnason scandiscono oltre al pentagramma anche le riprese del video, ricordando il grande concerto di Colonia del 1975 e fornendo un parallelo tra la musica jazzata e il traffic jam che esce fuori dalla costruzione a tavolino della città come fusione di dodici paesini in una zona industriale dove anche il cielo è tagliato dalla successione di pale eoliche. Sessanta auto e cento persone tutti volontari che fanno vedere cosa succede con la situazione più frustrante che ci sia: la congestione stradale, che invece diventa inaspettatamente occasione positiva di socializzazione. Poi d’improvviso la musica si dissolve, la coda si snellisce, il pianoforte è imballato e trasportato lontano mentre la musicista imbocca la strada maestra.
A questo punto il percorso viene intelligentemente spezzato per far respirare il visitatore con due locandine di Johanna Billing, tra cui la cover del nuovo vinile LP Pulheim Jam Session 2016 a cui fa da contraltare la finestra con vista su Carignano e sul suo traffico congestionato.
Segue un altro lavoro del 2012 a Roma  (I’m gonna live anyhow until I die 16’29” loop 2012) dove l’audio riprende l’acustica, seppur rivisitata, delle canzoni di Franco Battiato e cerca di delineare il bello dell’Italia riflettendo sulle manifestazioni universitarie del 2010 e sul corso e ricorso delle stesse. Un’opera che è anche e soprattutto un omaggio a Pier Paolo Pasolini e ai suoi “luoghi segreti” di Roma. Protagonisti dei bambini che lasciano i genitori nel ristorante dove Pasolini ha consumato l’ultimo pasto e che chiudono il giro per la città dal Porto di Ostia ricordando anche Bruno Munari (che più di ogni altro forse si è speso per la pedagogia creativa), in tal modo rivestendo un messaggio complesso di inedita leggerezza. Il video si conclude proprio con un momento ludico tra strumenti musicali obsoleti e poi realizzando una serie di immagini disegnate proprio dai bambini che ricordano il test di Rorschach, con le sue macchie in bianco e nero.
L’ultima esperienza sensoriale, dopo un’altra stanza da meditazione con film posters,  riguarda invece un gruppo di adolescenti di Iasi, in Romania, che non sono attori, ancora una volta, ma ballerini (I’m lost without your rhythm 13’29” loop 2009). È stato realizzato durante un workshop di danza contemporanea fatta per la locale Biennale che ha avuto 10 edizioni sulla danza e sul teatro, ma non è uno spettacolo di per sé. Lo è però per gli occhi con la frammistione del pubblico e di questi ragazzi con i loro movimenti, sulle note di una band locale e poi di una struggente e malinconica canzone svedese. Anche qui l’intento è di ampio respiro: come continua Ginevra D’Oria “si tenta di comprendere il significato reale del fare danza contemporanea in un paese post sovietico dove ci sono davvero poche possibilità di accedere a questo tipo di esperienze. La macchina da presa si focalizza su piccoli gesti, su movimenti semplici, sulle mani, sul micro più che sulla grandiosità della danza. Al termine del video si vedono dei gradoni molti grandi, gli ostacoli che questi ragazzi sono chiamati ad affrontare nella vita”.

Giulia Cassini © 

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