Tre motivi per andare a Grizzana Morandi in “ferie alternative”
Se la vostra grande passione è l’arte non potete perdere il progetto sul territorio di Grizzana Morandi (a trenta minuti da Bologna) che vede, dal 29 luglio al 30 ottobre 2016, tre esposizioni di grande suggestione visiva e concettuale organizzate nell’evocativa Rocchetta Mattei, fresca di restauro, e nei Fienili del Campiaro annessi alla Casa Studio Giorgio Morandi. Tre mostre con la direzione artistica di Eleonora Frattarolo e la cura della stessa critica d’arte e di Luciano Leonotti.
Stanze della Meraviglia – Esotismo Fantastico Incanto nella Rocchetta Mattei.
Si tratta di un evento d’arte contemporanea che vedrà diciassette artisti dialogare con la creazione del conte Mattei, raccontando la meraviglia che le stanze della Rocchetta irradiano non solo attraverso forme irruente, un incanto per tutti, ma anche attraverso allusioni che con differenti linguaggi simbolici segnano questa fantastica architettura eclettica appena restaurata e tornata a nuova vita.
Gli artisti (in rigoroso ordine alfabetico) sono: Elysia Athanatos, Francesco Bocchini, Mirta Carroli, Vittorio Corsini, Ettore Frani, Omar Galliani, Maria Elisabetta Novello, Luca Lanzi, Lemeh42, Simone Pellegrini, Piero Pizzi Cannella, Davide Rivalta, Nicola Samorì, Guido Scarabottolo, Sima Shafti, Amir Sharipfour. E con la straordinaria presenza di un capolavoro di Alberto Savinio, del 1946: Gente per bene (I Genitori).
FOCUS- Si tratta di installazioni di grande dimensione e di straordinario impatto visivo. Realizzato appositamente per questo evento anche il video di Lemeh42 “Stelle di XLII grandezza”, omaggio a Cesare Mattei che verrà proiettato la sera del 29 Luglio sulla grande parete d’ingresso nel cortile d’onore.
Il percorso nella Rocchetta: ll conte Cesare Mattei diede inizio alla costruzione della Rocchetta nel 1850, in un clima europeo di radicato eclettismo architettonico, lo stesso clima che aveva nutrito a Bologna le visioni esotiche e precinematografiche dello scenografo e pittore Antonio Basoli (Castel Guelfo 1774-Bologna 1848) e che dopo circa vent’anni (a partire dal 1869) avrebbe prodotto uno dei mitici modelli di riferimento di Walt Disney, il castello di Neuschwanstein di Ludwig II di Baviera (che ebbe modo di conoscere Mattei), ideato grazie allo scenografo Christian Jank. Negli spazi e nelle stanze del castello favoloso di Cesare Mattei, inventore della pratica terapeutica chiamata elettromeopatia, la cui fama si diffuse dall’Europa all’India alla Russia, prende vita oggi l’itinerario d’immagini, sogni, allusioni, simboli e memorie che sedici artisti dei nostri giorni hanno creato in sintonia con gli ambienti fatti realizzare dal Conte, in alcuni casi ampliati o ripensati dal figlio adottivo Mario Venturoli. Sedici artisti usi a progettare ed esporre in contesti culturali differenti-Europa, America, Asia, Africa- idealmente capitanati da uno dei più visionari ed eclettici artisti che l’Europa abbia avuto nel xx° secolo: Alberto Savinio (Atene 1891-Roma 1952), qui presente con un capolavoro che è viatico esemplare di mistione di stili e di forme, Gente perbene (I Genitori), del 1946 (Salottino verde). Quindi, diciassette sono in realtà gli artisti in dialogo con la creazione del conte Mattei, che ci raccontano la meraviglia irradiata dalle stanze della Rocchetta non solo attraverso forme irruente, un incanto per tutti, ma anche attraverso allusioni che con differenti linguaggi simbolici segnano questa fantastica architettura eclettica. Un itinerario che si snoderà in stretta empatia con le stanze che l’accolgono, quasi esse stesse l’abbiano generato. Si inizia con la grande scultura in ferro di Mirta Carroli, rappresentazione in forma lineare e sintetica dei legami con la Terra, collocata ai piedi del promontorio roccioso davanti al portone della Rocchetta. Subito dopo una seconda scultura della Carroli, che si allunga su un terrapieno come una freccia, con il corpo di metallo e la sua ombra. Poi, nell’imponente Cortile centrale da cui si diramano i diversi itinarari, un poderoso e tellurico rinoceronte bianco indiano di Davide Rivalta, che segna lo spazio di raccordo, concreto e ideale, con l’esotismo propugnato da Cesare Mattei. E in relazione alla mistione degli stili e all’eclettismo della Rocchetta in questo cortile, la sera dell’inaugurazione dell’esposizione, sabato 29 Luglio, sulla facciata del corpo centrale verrà proiettato un video realizzato per quest’occasione da Lemeh42, un omaggio a Mattei, un disegno in continua metamorfosi che attraversa differenti culture. Oltre il cortile, nella magnifica Sala dei novanta dove il Conte avrebbe voluto celebrare i propri novant’anni, due spettacolari mantra – tempo, preghiera, bellezza – su legno, in grafite e oro, di Omar Galliani. Più oltre, verso i piani superiori, nella Chiesa che ospita il sarcofago dove è sepolto il conte Mattei, sopra l’altare è il polittico metafisico silente immemoriale di Ettore Frani; nella navata, sullo sfondo di boschi e valli, un umile e significativo asinello di Davide Rivalta; nel ballatoio dove si coagula uno dei punti di energia più potenti del castello, una maschera mortuaria in gesso di Nicola Samorì, perimetro del percorso del tempo, limite fragile tra presenza e disparizione; nei pressi del sarcofago che ospita il corpo di Mattei una bambola-feticcio di Luca Lanzi, evocazione di immemoriali ritualità funebri. All’uscita dalla Chiesa, sul Belvedere che porta ai piani più alti, un’apparizione, un Centauro, sagoma in ferro di Guido Scarabottolo che soprintende al paesaggio e alle metamorfosi dei regni della Natura. Nel quadriportico con la fontana dei leoni che cita l’Alhambra, la barca di Amir Sharipfour, con scafo coperto da uno specchio, che riflette la luce e l’architettura circostante. Da qui nella Sala della musica, dove a cascata, dal soffitto verso il pavimento, scendono i flussi di segni di parole di ritmi originari, che Simone Pellegrini ha formato sulla vastità di carte disegnate incise dipinte. Ancora più su, nelle stanze che innalzano lo sguardo del visitatore oltre le serpentine dei due fiumi che si snodano nel territorio di Riola, oltre la roccia sui cui prende piede questo paesaggio nel paesaggio che è la Rocchetta del conte Mattei, vi è la Sala della Pace, dove la classicità di un’inscrizione su cenere realizzata in funzione di questo percorso e di questa stanza da Maria Elisabetta Novello si dispiega sull’ampio pavimento, ed è gesto, pensiero che diventa forma, proiezione della memoria in un futuro possibile. Ai lati della stessa Sala, due stanze a pianta circolare in cui sono posati i vasi alchemici di Elysia Athanatos, uno fesso e uno integro, rilucenti d’oro all’interno.
Ed è su questo percorso, nella Sala gialla, che Vittorio Corsini, con un’opera in acciaio e cristallo, crea uno scarto e rende immagine una pratica del viaggio in cui ciò che si attraversa diviene mero “souvenir”, coagulo di immagini rilucenti di stereotipìa. Dopo di lui, le aggregazioni purissime dei gioielli in argento e frammenti di ceramica antica, di Mirta Carroli, disposte nel piccolo studiolo con scalinata in legno realizzato nella torre medioevale dell’originario castello matildico. E mentre il visitatore si avvia verso la Sala rossa, un alto vaso dal corpo madreperlaceo, di Piero Pizzi Cannella, segnato alla base dai profili delle architetture del mondo, svetta nella stanza della torre pentagonale. Poi, la Sala rossa, che taluni dicono possa essere stata anche studio medico del Conte, con le installazioni dedicate alla medicina antica e moltitudini di oggetti in ordine ludicoparatattico e sanitarioelencativo, di Francesco Bocchini. Infine, suggella questo viaggio nell’immaginario eclettico europeo, che con Cesare Mattei diviene paesaggio, casa, spazio terapeutico, scenografia rutilante di luoghi dell’altrove coagulati sulla roccia di Riola, il tappeto di terre e filati di Sima Shafti, che nella Torre della vedetta, in caratteri persiani, poeticamente celebra la forza delle acque citando un Poeta persiano del ‘900, così presenti attorno al castello, così preziose per la pratica terapeutica di Cesare Mattei.
Catalogo a cura di Eleonora Frattarolo, Grafiche dell’Artiere Editore.
Realizzato grazie alla collaborazione di CUBO Centro Unipol Bologna
Si ringrazia la Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna
per la gentile ospitalità.
Ghirri incontra Morandi.
Per la prima volta nella Casa Museo Giorgio Morandi e nei Fienili del Campiaro le fotografie che Luigi Ghirri realizzò negli studi di Giorgio Morandi a Bologna e Grizzana. A fronte di alcune fotografie conosciute perché ampiamente pubblicate, in questa esposizione si potranno vedere tutte le altre che il famoso fotografo selezionò personalmente, e un raro autoritratto, eseguito davanti al letto nello studio di via Fondazza. Le stampe sono 37, prestate dagli stessi Eredi di Luigi Ghirri. A fronte di alcune fotografie conosciute perché ampiamente pubblicate, in questo racconto per immagini si potranno vedere tutte le altre che Ghirri selezionò personalmente, e un autoritratto eseguito davanti al letto nello studio bolognese di Morandi. Le stampe mostrano l’androne e il pianerottolo di via Fondazza per registrarne i colori e le forme, per fornire una mappa di segni e tracce di oggetti immersi nella luce, nella polvere, nelle ombre terrose. L’incontro con Morandi è per Ghirri un incontro con un artista che percorre gli stessi suoi sentieri, quelli delle forme domestiche e famigliari dai colori tenui, pastello, immersi nel silenzio, sul confine tra apparenza ed enigma.
FOCUS DAL TESTO PRESENTE IN MOSTRA -Nel 1983 lavoravo presso l’agenzia pubblicitaria Cespe&Co di Bologna e tra i clienti avevamo l’Assessorato al Turismo dell’Emilia-Romagna per cui progettavamo le campagne per le località turistiche, comprese la riviera e le terme. Un pomeriggio, già anticipato da una certa fama, si presenta Luigi Ghirri a consegnarmi delle fotografie sulle terme, accompagnato da Claude Nori, fotografo francese in viaggio lungo le spiagge italiane per ritrarre l’acerba bellezza delle adolescenti, che divenne nel 1991 un libro dal titolo un été italien. Ghirri mi porse le sue stampe, e ricordo il mio stupore di fronte alla luce morbida dei colori, alle inquadrature di una semplicità commovente e ad alcune immagini, vere proprie apparizioni. Ci vedemmo in seguito e gli mostrai i miei lavori e le stampe in bianco e nero fatte l’anno prima lungo il porto di Londra, Docklands, in quella estate decisi di fare un lavoro sulla riviera romagnola, il Paese delle Vacanze, e quando gli feci vedere le fotografie accettò di scrivere l’introduzione di questo mio primo libro editato da Officina Immagine di Bologna. Sono passati tanti anni, ora affianco al mio lavoro l’insegnamento presso l’Accademia di Belle Arti di Bologna e nei miei corsi di fotografia presento il lavoro di Luigi Ghirri, cercando di comunicare il suo mondo, le sue ricerche, che sono state fondamentali per lo sviluppo di tanta fotografia contemporanea. Un lavoro enorme che poggia su tre nuclei: la sua esperienza di scoperta del mondo in età infantile, gli studi di filosofia e saggistica e la sua esperienza con l’arte concettuale negli anni 60-70. E’ proprio la sua esperienza con questi artisti a spingerlo a diventare un fotografo, non un artista, “per vedere quello che c’è ancora da vedere”, e abbandonare il suo mestiere di geometra.Uno dei suoi fotografi di riferimento è Walker Evans (1903-1975) e di conseguenza Eugene Atget (1857-1928) che hanno visto il “fantastico nel reale” in una dialettica circolare senza contrapposizioni in armonia con l’uomo; Ghirri prosegue questa ricerca con immagini che contengono doppi sguardi: il vero con il finto, interno ed esterno, la soglia, cogliendo questa ambiguità tra reale e immaginario in quanto ambiguità stessa dell’esistere e proponendo una conciliazione degli opposti, una decongestione dello sguardo, che viene sottoposto ad una inquietudine percettiva dove la realtà viene messa in codice e le fotografie subiscono un controllo estetico, basti pensare alle post-produzioni-photoshop-lightroom dove il reale si confonde con il virtuale.Ghirri oltre ad essere un grande autore-fotografo ha saputo analizzare e codificare il complesso e variegato linguaggio della fotografia nelle sue diverse declinazioni con testi preziosi, utili per gli studenti e per chi vuole approfondire questa scrittura visiva, il suo libro Niente di antico sotto il sole raccoglie tutti i suoi scritti, grazie alla cura del critico Paolo Costantini, scomparso giovanissimo e del fotografo Giovanni Chiaramonte. Ghirri incontra Morandi, è un evento che segue quello di Omar Galliani (2014), e quello di Luigi Ontani (2015), nella Casa Studio Museo Giorgio Morandi e nei Fienili del Campiaro a Grizzana Morandi, con le fotografie realizzate nello studio di via Fondazza e nello studio di Grizzana per raccontare il mondo di Morandi, che Ghirri incontra già negli anni 1989/1990, un mondo che sentiva particolarmente affine. È il suo lavoro più importante prima della morte. A fronte di alcune fotografie conosciute perchè ampiamente pubblicate, in questa esposizione si potranno vedere tutte le altre che Ghirri selezionò personalmente, le immagini mostrano l’androne e il pianerottolo di via Fondazza a Bologna, come prosieguo dei portici e degli intonaci terrosi della strada, “soglia” che ci prepara prima di entrare nello studio-camera da letto per fornirci una mappa di segni e tracce, di oggetti immersi nella luce e nelle ombre ricoperti di tempo-polvere. L’incontro con Morandi è per Ghirri un incontro con un artista che percorre gli stessi suoi sentieri, quelli delle forme domestiche e famigliari dai colori tenui, pastello, immersi nel silenzio, sul confine tra apparenza ed enigma. C’è l’autotritratto eseguito davanti al letto, un immagine inedita, dove Ghirri inserisce se stesso come “studium-punctum-referente”, tutto insieme, per dirla con Barthes o citando Velàzquez con Las Meninas; la finestra emana una luce morbida, diversa da quella degli anni cinquanta quando non era cresciuto ancora un condominio lì di fronte che l’avrebbe cambiata, di cui Morandi si lamentava, e rischiara uno studio dal colore antico dal soffitto alto che sembra sfondi in un cielo terreo, con reliquie su altarini come in una cappella laica. Le inquadrature proseguono rivelandoci questi oggetti, alcuni distesi su piani arati dai segni di Morandi, altri sotto i tavolini, altri appesi alle pareti chiazzate da petali di ditate, e per ogni soggetto tre o quattro scatti, con minimi spostamenti, come ci raccontano i provini.
Invece, lo studio di Grizzana sull’Appennino rivela una quantità di luce impressionante, tre finestre, le pareti bianche, tutto molto ordinato, l’aria trasparente che cristallizza gli oggetti sopra i tavoli, e la camera da letto del Maestro. È un racconto minimale asciutto e non può essere che così dal momento che questo studio, la casa, fu costruita su indicazioni precise di Morandi, fu vissuta solo tre anni da Morandi, mentre prima andava in affitto nella casa di fronte, dai Veggetti, sempre con le sue tre sorelle, e tranne qualche digressione in altre località dell’Appennino e in Trentino, per almeno quarant’anni. Qui Morandi dipinse quasi tutti i suoi paesaggi e i fienili del Campiaro, che Ghirri coglie inquadrandoli dalle finestre. Sicuramente la presenza di Maria Teresa che lo accompagnava, l’utima delle sorelle rimaste, non gli ha permesso di fotografare le altre stanze, luoghi fondamentali per raccontare questo piccolo mondo domestico, sobrio, di una eleganza misurata, e tutt’ora rimasta intatta. Questo grazie anche alla gestione del Comune di Grizzana al quale è stato affidato, proprio da Maria Teresa.
Ghirri e Morandi, un’ affinità data dallo sguardo fanciullesco che per entrambi significa lo stupore per le scoperte, anche minime del mondo, con un instancabile desiderio di scoprire nuovi segni, forme, ombre e luci, per trovare il senso e il racconto dell’esistere, utilizzando lo sguardo per indagare il reale, per rubare con gli occhi la conoscenza delle cose. Ghirri utilizza la macchina fotografica come strumento di registrazione del suo vedere. All’inizio utilizzando una 35 mm, poi passa al medio formato 6×7 utilizzando una Mamiya e poi una Pentax, quest’ultima diventerà la sua preferita anche nel formato 4,5×6 da utilizzare senza cavalletto, perchè queste ottiche riescono a registrare meglio quei passaggi di colore delicati e che danno ai suoi soggetti quella corposità tridimensionale, esaltati anche dalla matericità della pellicola negativa e dalle stampe sapienti di Arrigo Ghi. Una ricerca quindi anche tecnica, come per Morandi, che preparava i telai, macinava i pigmenti, e raschiava i colori secchi dalla tavolozza per triturarli e mischiarli con quelli freschi. Due mondi apparentemente distanti, Morandi non amava farsi fotografare, eppure Ghirri realizza queste fotografie che sugellano per lui un incontro e un arrivo. Dopo un viaggio. Anche se breve, ma vissuto con una intensità e consapevolezza miracolosa.
L’Antico Appennino di Luigi Fantini.
Ai Fienili del Campiaro le fotografie di Luigi Fantini delle architetture rurali a Grizzana e nel territorio limitrofo. Si tratta di un nucleo di immagini relative ad antichi edifici rurali dell’Appennino bolognese, un lavoro che Luigi Fantini realizzò a partire dal 1939. Le immagini sono realizzate con metodologia catalogatrice, l’inquadratura privilegia l’aspetto architettonico più rilevante e significativo e l’ambiente circostante è ridotto al minimo, tranne in rari casi dove il manufatto domina passi o vallate, come le casa torri. Sono 33 le immagini, affascinanti stampe provenienti dalle Collezioni dalla Fondazione della Cassa di Risparmio in Bologna.
Queste stampe ci raccontano un patrimonio artistico indivisibile dai modi di vita di chi lo viveva, una cultura materiale, un frammento importante di storia di quell’architettura rurale che la cultura a noi contemporanea ha valorizzato pur tra tante difficoltà, individuando in essa saggezza e qualità costruttiva, profonda armonia con la terra e il paesaggio, modelli abitativi implicati nelle abitudini delle comunità, che molto hanno da insegnare all’odierna edilizia e in fondo anche a tanta architettura delle grandi firme. Luigi Fantini appartenne a una famiglia di carbonai e boscaioli che fin dalla metà del Settecento viveva a Monterenzio, in Val d’Idice, e fino ai trent’anni abitò in Val di Zena, al Farneto. Ricercatore degli usi, dei costumi, della flora, della fauna, dell’archeologia, della struttura geominerale dell’Appennino, speleologo scopritore delle grotte del Farneto, scopritore degli utensili silicei del paleolitico antico dell’Appennino bolognese che costituiscono i primi reperti del genere in Europa, nel 1939 decise di trasformarsi in una specie di fotografo ambulante per ritrarre tutte le case antiche che gli fosse stato possibile individuare. Dopo la falcidie della seconda guerra mondiale, e dopo i profondi cambiamenti della società italiana nel dopoguerra, l’opera di Luigi Fantini, realizzata spostandosi in bicicletta per le valli e le strade dell’Appennino, avendo come compagna una macchina fotografica a lastre formato 10×15 munita di un Tessar Zeiss f/1.4,5 ci appare come un’eroica manifestazione d’amore per questa terra e per il lavoro che l’umanità d’allora è stata in grado di lasciare all’umanità di oggi. Autodidatta d’eccezione, Luigi Fantini fu archivista capo del Comune di Bologna ed assistente al Museo Civico. E’ stato autore di numerose pubblicazioni, tra cui Antichi edifici della montagna bolognese, di straordinaria portata documentaria.
Le fotografie sono realizzate con una metodologia catalogatrice, l’inquadratura privilegia l’aspetto architettonico più rilevante e significativo e l’ambiente circostante è ridotto al minimo, tranne in rari casi dove il manufatto domina passi o vallate, come le case torri. E’ un bianco e nero scarno, asciutto, senza uso di filtri giallo-arancione che enfatizzino i cieli, spesso scattate senza la precisione ortogonale necessaria. E’ una fotografia “di passo”, di un viaggiatore che percorre le dorsali, in bicicletta, per scoprire questo medioevo arrivato fino a noi relativamente intatto. A volte sono inseriti degli abitanti che seduti davanti alla propria casa fanno da testimoni del tempo, perché queste pietre organizzate senza intonaco, tenute insieme come un lego ancestrale, riescono a proiettarci in una dimensione davvero magica.
Stanze della Meraviglia – Esotismo Fantastico Incanto nella Rocchetta Mattei.
Rocchetta Mattei – 29 luglio > 30 ottobre 2016
Inaugurazione: 29 Luglio ore 19,30
Ghirri incontra Morandi.
Casa Studio Giorgio Morandi e Fienili del Campiaro – 30 luglio > 30 settembre 2016
Inaugurazione: 30 Luglio ore 19,30
L’Antico Appennino di Luigi Fantini.
Fienili del Campiaro 30 luglio > 30 settembre 2016
Inaugurazione: 30 Luglio ore 19,30