scajola

L’ex ministro assomiglia al pirandelliano Zi Dima che convinto di riparare una giara piena di cose più grandi di lui, ci si infila dentro e ci rimane imprigionato

Basta andare su Google e cliccare “Claudio Scajola” e Wikipedia ti illude con un curriculum vitae che con qualche ritocco poteva diventare una biografia apologetica e invece assomiglia sempre più ad un mesto necrologio politico.
Sindaco, deputato, coordinatore nazionale, ministro plurirecidivo, “gaffeur” impenitente, capo delle “barbe finte” ma soprattutto patron di comici e di vignettisti superato soltanto dal senatore Razzi per qualità esilarante, non però per numero di sketch in carriera.
Magra consolazione per chi era salpato per entrare da eroe nei libri di storia e si è incagliato da macchietta sulle pagine di cronaca nera.
In sostanza, una caricatura; come alla fine risulterà l’ennesimo bailamme che i media hanno scatenato in questi ultimi giorni sul suo interessamento alle vicende giudiziarie di un collega parlamentare condannato in via definitiva per fatti risalenti addirittura al 1988 e che si sono verificati “a Reggio Calabria e zone limitrofe” e dunque a migliaia di chilometri lontano da Imperia.
Il filone tragicomico è sempre lo stesso e questa volta l’unica novità è offerta dal tentativo di buttare in pochade una vicenda che grazie alla moglie del latitante una volta tanto ha il merito di rispettare la parità di genere.
Nell’attuale società dell’immagine Monicelli avrebbe raccontato i fatti non in termini di sfida spudorata alla legge, come l’inquisitore calabrese sostiene, ma di legalità diversamente vissuta da ciascuna delle maschere di una ritrovata commedia all’italiana.
C’è il politico piccolo piccolo, e infatti lo chiamano “Sciaboletta” come Vittorio Emanuele III, e c’è la più bella di un reame di cartapesta e poi c’è lui, “O malamente”, che cerca di non finire in gattabuia.
Prendiamo la gag tra Scajola e la Maga Circe beccati mentre conversano “con linguaggio volutamente criptico” e subito mi ritorna in mente un’accusa analoga che trent’anni prima era stata contestata dai PM a uno dei suoi complici nello storico processo per l’appalto del casinò dopo averlo intercettato mentre parlava con un interlocutore balbettante a causa dell’ictus che lo aveva colpito.
O la scenetta dei due odierni complici impegnati nel gioco delle iniziali in geografia che mi ricorda l’astuzia volpina di quell’antico complice che registrava il numero dell’ingegner Merlo camuffato sotto la voce di “uccello” e lo aveva annotato come tale alla lettera “U” dell’agenda telefonica.
Per non parlare della scorta e dello “scappotto” in autostrada a perfetta imitazione del classico di Carlo Macaluso “Ragazzi di strada” ma con la variante di schivare il turno di quei poliziotti con la lingua lunga che avrebbero potuto usarla per riferire ai superiori e non per altri meno nobili fini.
In questo esilarante giochetto dei sotterfugi, o degli escamotages per usare un francesismo alla monegasca, la sfiga la fa da protagonista perché le ditate di Nutella che Scajola ha lasciato sui mobili di casa autorizzano i peggiori sospetti e ne fanno l’indiziato numero uno di trame tanto losche quanto fantasiose.
Non dimentichiamo, per esempio, che lui è stato l’ultimo presidente del comitato di controllo dei servizi segreti prima del suo scioglimento ed è comprensibile che qualche rimanenza dei fondi di magazzino gli sia rimasta nel bagagliaio della macchina.
Ma, appunto, la sfiga vuole che un maledetto lunedì 13 dicembre del 2012 al Coordinamento regionale PDL di Genova si lasciasse scappare l’avvertimento rivolto a tre colleghi parlamentari, di conoscere «tutto» di loro e dei «loro nei» pur non avendoci «mai giocato» come pubblicheranno il giorno dopo il Corriere della Sera, il Secolo XIX e La Stampa e come due degli interessati, Minasso e Scandroglio, confermeranno in una interrogazione al dimissionario presidente Monti per sapere a che titolo Scajola detenesse “fascicoli o dossier” che li riguardavano.
Quanto al terzo, il senatore Grillo, questa volta la precisazione di Scajola di non aver mai giocato con lui non solo non è stato un autogol ma si tradurrà oggi in parata provvidenziale, visto che i PM milanesi lo stesso giorno del suo arresto arresteranno anche l’ex parlamentare spezzino per una faccenda di “dazioni” all’EXPO 2015 effettuate brevi manu da Enrico Maltauro.
Così salta fuori la bufala giornalistica del dossieraggio e del sequestro di un fantomatico archivio segreto che nasconderebbe inconfessabili misteri che l’Ex di tutto userebbe come potentissima arma di pressione e di ricatto.
Altra ditata di Nutella è la faccenda delle minacce di morte accolte con scetticismo già nel marzo scorso quando più di un cacciatore la commentava paragonando il Nostro a un rebisso, in dialetto il pettirosso, uccellino inutilmente protetto perché non copre il costo della cartuccia.
Ma adesso che l’inquisitore calabrese sottolinea il ruolo antagonistico della scorta di Scajola che sarebbe stata “parte attiva e determinante a garantire agevoli spostamenti nel territorio italiano della moglie” del catturando le cose al Viminale si sono complicate.
Lì dopo l’affare kazako, il pronunciamiento sul caso Aldrovandi e i pourparler con Genny ‘a Carogna piovono rane e Pansa non sentiva certo il bisogno di fare bingo con un ex ministro dell’interno accusato di connivenza col nemico realizzata usando la scorta come arma impropria.
Ma forse, pensandoci bene e avendo letto e riletto le 190 pagine dell’ordinanza che mette i sigilli del GIP all’inchiesta “Breakfast” della DDA di Reggio Calabria, più che di commedia all’italiana parlerei di sitcom ambientata in un salotto surreale dove compaiono e scompaiono personaggi che sarebbero piaciuti a Pirandello.
Penso ad esempio a quel catturando che vaga tra le Seichelles, Antigua e Dubai e che guarda verso la mitica Beirut: lui è il protagonista e domina la scena però senza essere mai nominato dagli altri personaggi come se, al pari del Fu Mattia Pascal, avesse smarrito la propria precedente identità.
Ma penso anche a Scajola che convinto di poter riparare una giara piena di cose molto più grandi di lui ci si infila dentro e come Zì Dima ne rimane intrappolato e adesso per uscirne fuori dovrà aspettare che qualcuno la rompa di nuovo.
Ma è soprattutto pirandelliano il gioco delle protesi attraverso cui l’Innominato vive una seconda vita e che l’inquisizione calabrese bolla come “terminale di un complesso sistema criminale”.
Di alcuni spicchi dell’ipotetica “cupola” francamente non saprei che dire, neppure dopo aver analizzato al microscopio la scia di indizi che ciascuno di loro si è lasciato dietro, più che altro facendoli uscire da un telefono.
Anche perché per una mentalità come la mia, con DNA sabaudo e formazione sui fascicoli della “Scuola Positiva” e sui testi classici di Antolisei, Manzini e Carnelutti, tutti questi nuovi reati in vitro, a geometria variabile e a forma libera figli dell’emergenza e delle convenzioni internazionali appaiono come mostruosità incomprensibili.
Però su uno spicchio sento di potermi pronunciare ed è quello della protesi “politica” dell’Innominato, il famoso “terzo livello” che, secondo l’ordinanza, sarebbe impersonata da Scajola.
Beh, se la ‘ndrangheta reggina punta su un cavallo “scosso” come lui, che strada facendo ha perso il “Cavaliere” e gran parte dei contradaioli, il Palio non lo vincerà mai. Al massimo potrà vincere la gara che facevamo da ragazzini a chi piscia più lontano, ma anche in questo caso, leggendo le intercettazioni che lo riguardano, il Nostro la pipì se l’è fatta nelle scarpe e anche questo è un potente indizio per scagionarlo e farlo uscire da Regina Coeli.
A patto, però, che d’ora in poi non giochi più con i fiammiferi….

Bruno Giri

 

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