In che Italia viviamo. Il coraggio di restare
O patria mia, vedo le mura e gli archi
E le colonne e i simulacri e l’erme
Torri degli avi nostri,
Ma la gloria non vedo,
Non vedo il lauro e il ferro ond’eran carchi
I nostri padri antichi. Or fatta inerme,
Nuda la fronte e nudo il petto mostri.
Oimè quante ferite,
Che lividor, che sangue! oh qual ti veggio,
Formosissima donna! Io chiedo al cielo
E al mondo: dite dite;
Chi la ridusse a tale? E questo è peggio,
Che di catene ha carche ambe le braccia;
Sì che sparte le chiome e senza velo
Siede in terra negletta e sconsolata,
Nascondendo la faccia
Tra le ginocchia, e piange.
Piangi, che ben hai donde, Italia mia,
Le genti a vincer nata
E nella fausta sorte e nella ria.
Se fosser gli occhi tuoi due fonti vive,
Mai non potrebbe il pianto
Adeguarsi al tuo danno ed allo scorno;
Che fosti donna, or sei povera ancella…
Inizia così “All’Italia” di Giacomo Leopardi. Sono passati quasi due secoli da quando nel settembre del 1818 il grande poeta ravennate scrisse questa struggente e profetica poesia che, con luce abbagliante, fotografa passato e presente.
Potevo scrivere il primo editoriale del 2014 de L’ECO parlando d’altro. Del Festival di Sanremo che sta tenendo banco su tutti i media, della palude politica, del lavoro che non c’è, dei giovani costretti a cercare dignità e fortuna all’estero, degli anziani lasciati sempre più soli, di mille altre negatività e tossicità che si moltiplicano giorno dopo giorno lungo tutto l’italico stivale. Per un attimo invece ho pensato di fermarmi, aprire il cofanetto dei ricordi, respirare l’aria pulita ed entusiastica della giovinezza quando in ciascuno di noi c’era soprattutto voglia di fare, contribuire a cambiare, migliorare il mondo attraverso professionalità, sacrificio, serietà, cultura. Era il tempo felice dei sogni in cui piaceva leggere poesie, impararle a memoria, studiarle. Oggi, in mezzo a tanti disastri morali e materiali come paiono lontani quei giorni. Invece era solo ieri, le poesie di Leopardi piacevano a tutti, giovani e brizzolati, letterati e non, facevano innamorare e piangere le ragazzine.
“O patria mia… fosti donna, or sei povera ancella…”
Una canzone di Leopardi, bella, vera, triste, attualissima.
Stajano commentandola ha scritto “L’antica gloria non è riaffiorata, anche se momenti storici hanno dato onore alla Patria: il Risorgimento, i Mille e, nel tragico Novecento, il Piave, la Resistenza, la Costituzione. Eserciti stranieri non calpestano il nostro suolo, ma le mura sono spesso crollate, le antiche città, l’arte e la cultura tenuti in poco conto. La speranza? Un sussulto di dignità della nazione”.
E’ ora di svegliarci.
Roberto Basso