“Kienholz non tende a sublimare le bassezze e la tragicità del vivere, le condizioni di solitudine e di trivialità, ma le usa come strumenti per far risplendere l’universo basso e popolare, dove il macilento e lo sporco, il perverso e il lurido, rappresentano una bellezza nuova e sorprendente”
Germano Celant

 

Fuori dagli schemi. Terribilmente agghiaccianti. Pugni nei ventri molli dell’ipocrisia, rivoluzioni per niente facili, mai assimilabili al primo sguardo. Si può così prescindere dal solito saper fare con le mani, dalle figurazioni a cui siamo abituati, dallo stesso concetto di esposizione d’arte. E allora proviamo ad immaginare gli spazi della milanese Fondazione Prada invasi da artisti curati da Germano Celant di nome Edward Kienholz e Nancy Reddin Kienholz (la moglie con cui intraprende un sodalizio artistico dal 1972), con a bandiera della mostra la storica installazione (Five Car Stud) che dà il nome all’evento.

Quale la loro comune filosofia? Quali i loro compagni di strada? Monitor, statue di donne, rappresentazioni umane solo nell’aspetto, teste di gatto, antenne televisive, orologi, bambine horror, animali beceri, mani e piedi tranciati via da bambolotti, scimmie fluo, un barboncino decapitato, maschere di gas, decorazioni esasperate, led, piedi di bambola, effigi sacre, un Teddy Bear, bestie impagliate, Cadillac e furgoni, scheletri, drappi, filo spinato e  ‘fantocci’ di Giudici della Suprema Corte in un turbillon di sensazioni, attraverso stanze volutamente ariose, giostre che dell’incantato mantengono la parvenza, tra sinestesie simboliche in cui poter scegliere a seconda della propria sensibilità e dei propri valori. E’ la perenne lotta tra il bene e il male, se vogliamo: come sostiene Celant il protagonista delle opere di Kienholz è quasi sempre “una figura umana a dimensione reale risultato di una combinazione di avanzi di manichini, di orologi, di schermi televisivi, di vestiti dimessi e consunti o costituita da calchi in gesso di persone reali. L’assemblage acquista quindi l’ambiguità metaforica di una situazione terribile dell’esistere. Lo spettatore che lo avvicina può certamente rifiutarla, ma il suo aspetto realistico lo mette in una condizione di voyeurismo che ne provoca la partecipazione simpatetica o repulsiva, ma sempre attiva e condivisa: l’estraneo si fa personale”.     

particolare da Chicken Little, 1992, courtesy Fond. Prada, foto GC

particolare da Chicken Little, 1992, courtesy Fond. Prada, foto GC

 

LE TEMATICHE: I grandi ‘se’ ( e noi vogliamo aggiungere ‘se non’ per aprirci ad un mondo dove si possa stoppare la vorticosità del male e delle violenze)a cui si appella il percorso espositivo, in un mix tra fiction horror e cruda realtà sono nell’ordine: la commercializzazione della donna e del sesso (The Bronze Pinball Machine with Woman Affixed Also, 1980), la violenza sui minori (The Bear Chair, 1991), il consumismo del Natale e la crisi della Chiesa (The Nativity, 1961), la faziosità dell’informazione (Useful Art No.1, 1992), l’incomunicabilità di coppia (Bout Round Eleven, 1982), la violenza del maschio sulla donna (The Pool Hall, 1993), le lesioni fisiche e psicologiche familiari (Jody, Jody, Jody, 1993-94) fino alla grande tematica razziale indagata nell’opera Five Car Stud(1969-72) su un ampio letto di sabbia.

Five Car Stud, 1969-72, Edward Kienholz. Foto Delfino Sisto Legnani Studio. Courtesy Fondazione Prada

Five Car Stud, 1969-72, Edward Kienholz. Foto Delfino Sisto Legnani Studio. Courtesy Fondazione Prada

FOCUS SU FIVE CAR STUD : Come spiegano gli organizzatori Five Car Stud è stata creata da Edward Kienholz tra il 1969 e il 1972 ed è stata esposta per la prima volta a Documenta 5 a Kassel, curata da Harald Szeemann. L’opera, che riproduce in dimensioni reali una scena di violenza razziale, è considerata una delle più significative dell’artista americano. Nonostante il clamore e l’attenzione della critica suscitati fin dalla sua prima esposizione, Five Car Stud è rimasta non visibile nel deposito di un collezionista giapponese per quasi quarant’anni. Solo tra il 2011 e il 2012, dopo il suo restauro, è stata ripresentata al pubblico del Los Angeles County Museum of Art e del Louisiana Museum of Modern Art in Danimarca. Ora parte della Collezione Prada, riappare per la prima volta in Italia in questa mostra. Five Car Stud diventa il nucleo centrale di un percorso espositivo che transitando dalla galleria Sud al Deposito e in uno spazio esterno, presenta 26 opere, tra lavori scultorei, assemblage e tableau, realizzati dai Kienholz dal 1959 al 1994, nonché materiali di documentazione sulla storia e il processo di creazione di Five Car Stud. Definita da Kienholz come la rappresentazione del “peso di essere un americano”, l’opera ricostruisce un ambiente buio e isolato, illuminato soltanto dai fari di quattro automobili e di un pick-up. Al centro della scena un afroamericano steso a terra è circondato da cinque uomini bianchi che indossano delle maschere di Halloween. Gli aggressori lo immobilizzano afferrandogli braccia e gambe, mentre uno di loro lo sta per evirare. Inoltre è presente un sesto uomo mascherato che, armato di un fucile, sorveglia la scena, mentre una donna bianca che si era appartata con la vittima, è obbligata ad assistere sconvolta e impotente alla punizione inflitta dagli aggressori bianchi. Un ragazzo impaurito, il giovane figlio di uno dei criminali, è testimone dei fatti dall’interno dell’auto del padre. Il ragazzo nero ha un doppio volto: uno interno in cera tristemente rassegnato, mentre quello esterno trasparente è segnato da una smorfia mostruosa di terrore e rabbia. Il busto è costituito, invece, da un contenitore di benzina all’interno della quale galleggiano sei lettere che possono formare la parola “nigger”.

Five Car Stud catapulta lo spettatore in una situazione da incubo, lo immerge in una dimensione, rimossa o dimenticata, di estrema violenza. A più di quarant’anni di distanza dalla sua creazione restano intatte, infatti, la sua forza espressiva, la sua potente carica simbolica e la lucidità dell’atto di accusa contro la persecuzione razziale.

la penultima sala della mostra alla Fondazione Prada, foto GC

la penultima sala della mostra alla Fondazione Prada, foto GC

FOCUS SU EDWARD KIENHOLZ ED OPERE: Edward Kienholz (1927-1994), artista autodidatta cresciuto nello stato di Washington, fonda con Walter Hopps la Ferus Gallery nel 1957 a Los Angeles. Nel 1961, dopo la prima personale curata da Hopps al Pasadena Art Museum in California, Kienholz è incluso con altri artisti della West Coast nella mostra curata da William Seitz “The Art of Assemblage” al MoMA di New York, in cui è accostato a figure storiche come Picasso, Schwitters, Duchamp e Cornell. Grazie a questa esposizione ottiene un primo riconoscimento internazionale, attirando l’attenzione di critici e curatori europei come Pontus Hulten che nel 1970 gli dedica la mostra “11 + 11 Tableaux” presentata a Stoccolma, Amsterdam, Düsseldorf, Parigi, Zurigo e Londra. Fin dagli esordi Kienholz impiega un immaginario realistico, quotidiano e inequivocabile per creare “un’arte della repulsione”, in diretta opposizione alla componente narcisistica presente nell’Espressionismo astratto o al feticismo delle merci e dei materiali industriali tipico della Pop Art e del Minimalismo. Tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio degli anni Sessanta l’artista americano sviluppa un linguaggio originale che lo conduce dagli assemblaggi di piccole dimensioni e i rilievi in legno dipinto, come l’opera in mostra ‘Ore the Ramparts We Watched, Fascinated (1959), ispirata alla corsa allo spazio tra americani e russi, alla realizzazione di grandi installazioni che combinano figure realistiche riprodotte in scala reale a oggetti e mobili di recupero, definiti da Kienholz stesso “tableaux” o “environmental assemblages”. The Nativity (1961), presente in mostra, era stata originariamente concepito proprio come un tableau e doveva configurarsi quale ricostruzione tridimensionale dell’interno di una chiesa. Il risultato finale è una bizzarra rappresentazione della Natività in cui le figure umane e divine sono sostituite da elementi dozzinali come decorazioni per automobili, lampade e parti di giocattoli. Dagli anni Sessanta i tableau di Kienholz rappresentano in maniera diretta scene di morte, guerra, sesso, violenza contro le donne, la discriminazione razziale e l’intolleranza religiosa, diventando un prolungamento della vita reale e un atto apertamente politico. Agli inizi degli anni Settanta lavora con la moglie Nancy Reddin con cui Edward Kienholz cofirmerà tutti i lavori realizzati da allora fino alla sua scomparsa nel 1994. Dal 1973 i Kienholz vivono stabilmente tra Hope in Idaho e Berlino, in seguito aprono un terzo studio a Houston in Texas. Da questa collaborazione nascono oggetti e installazioni che indagano il lato oscuro e patologico del modello culturale e sociale dell’America e dell’Occidente in generale. Gli assemblaggi che inglobano o simulano monitor, tra i quali The Death Watch (1976), Bout Round Eleven (1982) e The Twilight Home (1983), in mostra, sono potenti rappresentazioni dell’invasività del mezzo televisivo, della sua colonizzazione dell’immaginario e un tentativo di reagire criticamente alla sua pervasiva stupidità e alla becera violenza dell’informazione. In The Bronze Pinball Machine with Woman Affixed Also (1980), un innesto di gambe di donna in un flipper, il corpo femminile è ridotto a un oggetto di puro intrattenimento sessuale. L’opera Jody, Jody, Jody (1994) s’ispira a un fatto di cronaca ed evoca un grave episodio di abuso sui minori, mentre The Merry-Go-World Or Begat By Chance And The Wonder Horse Trigger (1991-94), che apparentemente ha le sembianze di un colorato carosello per bambini, nasconde un’empatica rappresentazione del casuale determinismo della nascita. Il visitatore è invitato ad azionare una ruota della fortuna circondato da luci intermettenti e dall’allegra melodia di The Merry-Go-World. All’interno ritrova uno dei piccoli otto tableau che descrivono l’evento della nascita come fattore determinante del destino sociale, economico e culturale di ogni individuo. Tra gli ultimi lavori realizzati da Edward e Nancy Reddin Kienholz figura l’installazione 76 J.C.s Led The Big Charade (1993-94), anch’essa presente a Milano, che trasforma in crocifissi parti di giocattoli, come bambole e carretti, e diverse rappresentazioni storiche e culturali di Cristo, prendendo di mira la religione nella sua forma istituzionalizzata e priva di spiritualità. In uno spazio del cortile adiacente alla galleria Sud, è presentata l’opera The Caddy Court (1986-87), un insieme mobile costituito da un furgone inserito tra la parte anteriore e quella posteriore di una Cadillac.  Al suo interno è collocata una rappresentazione grottesca e funerea dei giudici della Suprema Corte americana trasformati in scheletri e animali impagliati.

 

“Kienholz: Five Car Stud” è completata da una pubblicazione illustrata, parte della serie dei Quaderni della Fondazione Prada, che include un saggio del curatore e una documentazione approfondita sulle opere esposte.

Alla Fondazione Prada dal 19 maggio al 31 dicembre 2016, intero 10 euro, ridotto 8 euro, gratuito per categorie prestabilite.

Giulia Cassini

 

Taggato come: Celant • Duchamp • Five Car Stud • Fondazione Prada • Kienholz • milano • picasso • recensione mostra • Schwitters
 

Comments are closed.