“Non siamo che un passaggio, te ne accorgi attraversando un deserto con pietre tagliate 16000 anni fa, scalando montagne in Venezuela di 6 miliardi di anni. Tornare al Pianeta è l’unico modo per vivere meglio. La fotografia non è una forma di militanza, non è una professione. E’ la mia vita.”
Sebastião Salgado

Genesi è l’ultimo grande evento con curatela di Lélia Wanick Salgado (27 febbraio – 26 giugno) ospitato a Genova nel Sottoporticato di Palazzo Ducale, dopo le esposizioni di successo a Roma, Londra, Rio de Janeiro e Toronto. La titolazione coincide con l’ultimo grande lavoro di Sebastião Salgado, uno dei più celebri fotografi documentari di tutto il mondo, un animista in senso lato, ispirato dalla natura. Ha scoperto la sua vocazione in Africa, in un viaggio dopo la laurea da economista e statistico, una formazione solo di primo acchito stonata, visto che le sue opere sbattono in faccia al visitatore problemi di economia ambientale, di sostenibilità, di salvaguardia del nostro pianeta: una variabile che dovrebbe essere inserita stabilmente nelle bilance commerciali di tutti gli Stati e che influenza non solo l’agricoltura e il settore primario, ma la vita intera di ogni singolo cittadino. La Terra dunque vista come un bene e le politiche economiche ed ecologiche degli Stati come un servizio dovuto. Le sue opere si ispirano a quelle dei maestri europei, filtrate però dall’eredità culturale sudamericana. Lo sguardo dell’artista si posa sulla necessità di assumere nuovi comportamenti, più rispettosi della natura e di quanto ci circonda per conquistare una nuova armonia.
Sebastião Salgado: Nel 1967 sposa Lélia Deluiz Wanick, compagna di vita e, oggi, curatrice della mostra Genesi. Famosissimi i servizi di Sebastião Salgado sulla rivoluzione in Portogallo e la guerra coloniale in Angola e in Mozambico, gli studi sulla vita delle campagne in America Latina (che lo condurranno alla pubblicazione del volume Other Americas), il lavoro nei settori di base della produzione (La mano dell’uomo), i reportages sulle megalopoli del Terzo Mondo (Ritratti di bambini in cammino) e gli studi sulle migrazioni umane e sulle tribù del Brasile. Per cercare uno spartiacque nella sua vasta produzione si può tracciare la linea immaginaria del 1994, quando crea con Lélia Wanick Salgado Amazonas Images, lasciando così la Magnum. Attualmente Salgado sta lavorando ad un nuovo progetto: documentare in modo sistematico le popolazioni dell’Amazzonia.
La tecnica: Salgado per diversi anni utilizza strumenti maneggevoli e poco ingombranti della Leica come una fotocamera da 35 mm e pellicole, applicando uno sbiancante con pennello per ammorbidire il chiaroscuro, poi nel progetto Africa- con i grandi formati – inizia ad usare la Pentax 645, formato 220. Sarà poi il cambiamento dei regolamenti internazionali degli aeroporti (tra cui l’uso di raggi X) a determinare la scelta per il gigantesco progetto Genesi (dove avrebbe altrimenti dovuto portare 600 rullini in giro per il mondo) della Canon 1Ds Mark III, da 21 megapixel, con schede digitali.


La mostra: L’esposizione Genesi è nata da un viaggio alla scoperta della bellezza nei luoghi più remoti del Pianeta, durato otto anni. Curata da Lélia Wanick Salgado e prodotta da Civita su progetto di Contrasto e Amazonas Images, raccoglie ben duecentoquarantacinque immagini dai ghiacciai dell’Antartide ai deserti dell’Africa, fino alle montagne dell’America, del Cile e della Siberia, toccando i cinque continenti. Per farlo ha scalato montagne in condizioni limite per l’uomo, a -30° con gli apparecchi fotografici che non funzionavano, ha raggiunto a nuoto isole inaccessibili delle Galapagos sulle tracce di Darwin come viatico di tutti i progetti, si è spostato su carovane di muli o con mongolfiere, ha atteso ore immobile per fermare in uno scatto animali selvatici che non avevano mai avuto prima confidenza con l’uomo. Famosissima la zampa della “Iguana marina- Galapagos, Ecuador, 2004” che sembra il guanto di ferro di un cavaliere medioevale, elegante e sicuro. Ci sono gli scatti dell’Africa, il continente che ha fotografato di più negli ultimi quarantanni: in Genesi magistrali i ritratti dei personaggi della Namibia, gli animali in Botswana, i Boscimani e altre popolazioni dove gli ornamenti celebrano ancor oggi la partecipazione di riti ed eventi collettivi. Si vedono i gorilla in Ruanda che sono i più grandi del mondo, i deserti maestosi e disegnati perennemente dal vento del Sahara e della Namibia. Si scoprono gli occhi di migliaia di coccodrilli baluginare nel buio pesto della notte in Brasile, si sorprende il giaguaro che si abbevera lanciando un’occhiata furtiva in camera, si ritrova tutta la maestosità e il freddo silenzio delle terre del Nord, con la straordinaria capacità di Salgado di saper scegliere la luce adatta per raccontare al meglio un istante con immagini in bianco e nero essenziali, a volte scarnificate, senza neppure il grigio, come nello scatto sulla gola di un fiume in Alaska nella zona orientale dei Monti Brooks a 3.000 metri.
Una sorta di compendio di antropologia planetaria, uno sguardo alla natura non ancora sfregiata dall’egoismo dell’uomo, nonché un viaggio alle origini del mondo per preservarne il futuro. Come scrive la curatrice della mostra, sua moglie Lélia Wanick Salgado: “Genesi è la ricerca del mondo delle origini, come ha preso forma, si è evoluto, è esistito per millenni prima che la vita moderna accelerasse i propri ritmi e iniziasse ad allontanarci dall’essenza della nostra natura. È un viaggio attraverso paesaggi terrestri e marini, alla scoperta di popolazioni e animali scampati all’abbraccio del mondo contemporaneo. La prova che il nostro pianeta include tuttora vaste regioni remote, dove la natura regna nel silenzio della sua magnificenza immacolata; autentiche meraviglie nei Poli, nelle foreste pluviali tropicali, nella vastità delle savane e dei deserti roventi, tra montagne coperte dai ghiacciai e nelle isole solitarie. Regioni troppo fredde o aride per qualsiasi cosa salvo per le forme di vita più resistenti, aree che ospitano specie animali e antiche tribù la cui sopravvivenza si fonda proprio sull’isolamento”. Il materiale è suddiviso in cinque sezioni, sottolineate nell’allestimento da quinte in altrettanti colori scenici: «Abbiamo cominciato con il sud del pianeta, l’Argentina, l’Antartico e le sue isole. Abbiamo poi costruito una sezione sull’Africa, un continente estremamente diversificato ma che certo si distingue dagli altri. La terza parte l’abbiamo dedicata a un certo numero di isole che definiamo “i santuari del pianeta” perché custodiscono una biodiversità particolarissima, come il Madagascar, la Papua Nuova Guinea e i territori degli Irian Jaya. E poi l’emisfero nord del mondo che comprende regioni fredde ma nel quale abbiamo incluso anche il Colorado, meraviglioso territorio degli Stati Uniti. La quinta e ultima sezione è riservata all’Amazzonia, il polmone del mondo e il luogo dove abitano un’immensità di specie, di flora e di fauna. L’Amazzonia del Brasile ma anche quella del Venezuela, con le sue magnifiche catene montuose. E nel nostro Brasile presentiamo anche la zona del Pantanal: un habitat di specie faunistiche molto differenziate e importanti».

La mostra in totale toccherà trenta musei del mondo e, a corollario, disponibile anche in dvd, il film che il figlio Juliano Salgado e Wim Wenders hanno da poco terminato, è di partecipare a un sistema informativo sistematico sull’educazione ambientale, sulla necessità di difendere questo nostro pianeta.

Giulia Cassini

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