“Dato che gli oggetti destinati ad essere abbelliti sono di varia materia e dato che l’ornamento deve trovare per ogni materia e per ogni sua funzione la parola appropriata, anzi una sorta di melodia elegiaca, è chiaro come il sole che a tal fine non basta la semplice, fedele imitazione della natura. Per ogni diversa materia un ramoscello, per esempio, deve essere accordato su un diapason diverso”. Alfons Mucha

Nei delicati e tenui colori (“di contro al caos di colori aveva posto un manifesto chiaro, bianco come un giglio”, Charles Saunier), nell’allungamento elegante delle figure e nella loro idealizzazione, nella bidimensionalità decorativa ( dalla preziosità dei materiali alla necessità delle curve per ricreare le forme naturali, dalle onde aggrovigliate di capelli al drappeggio dinamico delle vesti), nell’armonia compositiva (l’abbellimento esterno era sinonimo di perfezionamento morale), nel suo porre a confronto gli “effetti visti” e gli effetti “reali” dando corso anche a quell’empatia tra opera e fruitore che si accende quando funzionano anche gli “effetti legati” (per riprendere la tripartizione di Otakar Hostinsky) c’è tutto il mondo di Alfons Mucha. Una cifra stilistica che è diventata “lo stile”, un’eredità istituzionalizzata, se così si può dire, già negli anni parigini di Mucha con i due manuali: Documents décoratifs (1902) e Figures decoratives (1905). Una vera e propria concezione del mondo da studiare e da imitare, perché come spiega all’inaugurazione del 29 aprile Luca Borzani, presidente Palazzo Ducale Fondazione per la Cultura, “Mucha fa parte di un filone internazionale che si collega alla dimensione della leggerezza, della tecnica e dell’arte come comunicazione sociale. Gli arredi, le lampade entrano nella dimensione sociale. Si vive la modernità come crescita, come possibilità più estese, con una forte idea di progresso”. Tra le principali teorie dell’Art Nouveau vi era di fatto la convinzione che l’arte dovesse essere fruita dal più largo numero di persone. E così i manifesti erano per le strade, ma anche in casa, sicuramente molto meno costosi dei quadri fatti a mano, creando così un vero e proprio gusto, una forma di conoscenza e di condivisione di massa.

Come continua la curatrice Stefania  Cretella “i manifesti di Mucha, ideati dal grande artista e stampati serialmente da alcune delle principali tipografie parigine, sono il risultato del perfetto connubio tra creatività e produzione seriale. Nei manifesti Mucha lavora su più piani visivi, servendosi consapevolmente di determinati effetti subliminali basati sull’ingegnoso sfruttamento del marchio della ditta sull’intera scena.” Si badi, però, non è mai una gelida eleganza quella delle pubblicità o delle produzioni teatrali (come quelle per il “Sarah Bernhardt Farewell American Tour” ), ma una languida sensualità quella che traspare da queste donne perfette, dee ma anche diavolesse tentatrici.

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Tra le sezioni della mostra si passa così in rassegna “Il teatro”, “la vita quotidiana: verso un’arte per tutti”, “La donna liberty e Art Nouveau”, “Dalla donna-angelo alla femme fatale”, “Documents décoratifs, il giapponismo e il dominio della linea”, “Bestiario dell’Art Nuoveau”, “La preziosità della materia”, “Il tempo”, “La forza creatrice della natura”, “La moda Belle Epoque tra Francia e Italia”. Tra le opere più rilevanti, puramente per citarne alcune, ricordiamo: “Hommage respectueux de Nestlé”, 1897,l’omaggio della ditta Nestlè alla regina Vittoria per i suoi sessantanni di regno, il medaglione in pasta di vetro realizzato da Amalric Walter per Daum, 1903-1905,bassorilievo con profilo femminile dominato da un grande fiore appuntato tra i morbidi capelli e poi “Zodiac”, 1896, che sottolinea il rapporto di Mucha con i gioielli e le pietre preziose, e i pannelli decorativi sfruttati come calendari “Les Heures du jour”, 1899 o ancora “Les Fleurs” dove la donna diventa allegoria del mondo naturale.

Ci si potrebbe chiedere il perché di questa mostra proprio a Genova. Come dichiara Borzani “perché Genova è la città dove-insieme a Milano- le influenze del modernismo sono state più forti. Genova nel suo periodo di maggiore splendore-cioè i primi decenni del Novecento quando era capitale finanziaria e non solo industriale e borghese- aveva bisogno di essere riorganizzata e così tra innovazioni tecnologiche e stilistiche , complice il più lungo periodo di pace degli ultimi tempi, le funzioni e i servizi della metropoli cambiarono radicalmente.” Come si vede sfogliando la valevole pubblicazione “Genova moderna. Percorsi tra il Levante e il centro città” a cura di Matteo Fochessati e Gianni Franzone si può ritrovare questo concetto nei luoghi storici e più suggestivi di Genova, costruendosi dei veri e propri percorsi alternativi e preziosi da scoprire per i genovesi stessi.

Scopo della mostra genovese è, riassumendo, quello di restituire in pieno l’idea di un’epoca ricca e sfaccettata, facendo dialogare le invenzioni di Mucha con gli ambienti e le decorazioni contemporanee, secondo un percorso che partendo da intenti similari e da valori estetici condivisi assume eccezioni e aspetti differenti a seconda delle diverse aree nazionali: dal Liberty italiano all’Art Nouveau francese e belga, dallo Jungendstil tedesco al Modern Style inglese. Tratti comuni gli stilemi ispirati alla natura, i soggetti naturali come ninfee, piante palustri, rose e narcisi, ma anche pavoni e pesci fluttuanti, pipistrelli e libellule quali raffinati emblemi del nuovo immaginario figurativo, in una dimensione onirica ispirata alle leggende popolari. Nella mostra protagonisti anche il “Pianoforte” Alberto Issel del 1902 in mogano laccato nero, intere ambientazioni di arredo, i vasi di Gallé e dei fratelli Daum, l’arazzo in lana su juta“Bosco di Betulle” 1915-1916 di Vittorio Zecchin (courtesy ED Gallery, Piacenza), la “scrivania” Ernesto Basile per la Ditta Mucoli, 1904 in rovere con decorazioni a smalto e intagli (in comodato presso Wolfsoniana) e la moda con l’introduzione della silhoutte a forma di S ed i trionfi di giaietti, seta, pizzo e tulle, tra cui trionfa “Abito intero in seta e pizzo”, 1905, della Collezione Dezzani. Particolare ruolo ha avuto dunque la Richard Fuxa Foundation, i prestiti privati e la Wolfsoniana. Nello stesso periodo della mostra a Palazzo Ducale, sarà possibile approfondire ulteriormente la figura dell’artista attraverso un percorso interamente dedicato ai suoi manifesti pubblicitari grazie alla mostra Mucha: alle origini della pubblicità ospitata presso la Wolfsoniana di Genova Nervi.

 Giulia Cassini © 

NON TUTTI SANNO CHE… L’ex campione del mondo di tennis Ivan Lendl è riuscito a riunire la più grande collezione di manifesti di Alfons Mucha, genio ceco dell’Art Nouveau. La sua eccezionale raccolta di poster, unica nella storia delle collezioni private, è il risultato di un intenso lavoro di ricerca realizzato dal noto curatore Jack Rennert nell’arco di molti anni e in ogni parte del mondo. La collezione è stata messa in mostra per la prima volta nel 2013 grazie all’impegno della Richard Fuxa Foundation che ha acquistato le opere dal celebre tennista. La collezione è stata presentata per la prima volta al Palazzo Comunale di Praga con enorme successo: oltre 180.000 visitatori in appena cinque mesi, al punto che la data di chiusura ha dovuto essere posticipata. Anche Palazzo Ducale promette bene, pensate che da settembre ad oggi si sono superate di 150.000 presenze lo scorso anno e questa grande mostra su un tema così amato alimenterà ulteriormente il circolo virtuoso che vede questo polo museale tra i più prestigiosi di tutta Italia.

 

Date 30 aprile – 18 settembre 2016 A cura di Stefania Cretella e Karel Srp Sede Palazzo Ducale – Appartamento del Doge Piazza Matteotti, 9 16123 Genova Orari Lunedì 14.30-19.30 dal martedì al giovedì e domenica: 9.30-19.30 venerdì e sabato: 9.30-22 La biglietteria chiude un’ora prima Aperture straordinarie 1 maggio: 9.30-19.30 2 giugno: 9.30-19.30 24 giugno: 9.30-22.00 15 agosto: 9.30-19.30 Biglietti Intero: 13 € Ridotto: 11 € Ridotto speciale: 6 € Gruppi: 11 € Scuole: 4 € Famiglia: ADULTO 1O € – BAMBINI 5 €

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