L’uomo che ha venduto il mondo
Intervista a Claudio Conti, Finalista della XXXIV edizione del Premio Calvino
“L’uomo che ha venduto il mondo” (Pessime Idee Edizioni) è il romanzo di Claudio Conti che si appropria degli elementi della distopia ma li combina con una moltitudine di personaggi dai ritratti grotteschi tanto da creare un progetto narrativo
dalle mille forme. Il giorno fatidico in cui appare una riga nel cielo innesca le varie vicende dei protagonisti, che cercano dei modi, spesso maldestri, per affrontare quel presunto pericolo.
1)Finalista della XXXIV edizione del Premio Calvino, la giuria ha definito “L’uomo che ha venduto il mondo” romanzo pop. Claudio, se potresti spiegarci in che senso “pop” e se ti rispecchi in questa terminologia?
Non l’ho scritto pensando a un genere specifico. Fantascienza e distopia, ad esempio, sono elementi sicuramente presenti nel romanzo, ma sono solo un pretesto per parlare d’altro, sono la struttura che tiene insieme il comico, il drammatico e il surreale.
Ero un ragazzino negli anni ’80 e i miei riferimenti non sono e non possono essere solo letterari. Sono cresciuto con Stephen King, Gō Nagai, i videogiochi dei bar, Videomusic e quell’irripetibile stagione di cinema Fantastico per ragazzi. Nel romanzo questi elementi ci sono tutti, è ricco di riferimenti alla cultura di massa di quegli anni. Per questo “pop”, alla fine, credo sia una definizione migliore di molte altre.
2) Il tuo romanzo inizia con una riga in cielo, che nel corso della lettura si aprirà sempre più fino a far percepire ai personaggi il vuoto al di là della riga che si sta creando, un vuoto terribile di cui ognuno di noi dovrà fare i conti. Questa immagine potrebbe personificare le nostre paure e insicurezze. Quando ti è venuta in mente questa immagine della riga e se secondo te è presente nel nostro quotidiano?
La riga è la crepa che corre su un oggetto che sta per andare in pezzi. Dal punto di vista puramente narrativo si forma per effetto dell’egoismo e della presunzione umana ma, in termini più ampi, la riga rappresenta la condizione umana. Il suo irreversibile aprirsi simboleggia l’infelicità alla quale sembriamo condannati con l’avanzare dell’età adulta. Quindi direi che sì, è molto presente nel nostro quotidiano, anzi, siamo noi.
3) Il mondo personale, intimo dei tuoi personaggi, incontra la paura collettiva, un evento scatenante che invade la nostra sfera privata. Pensi che eventi eccezionali come il covid e la guerra appena scoppiata possano aver reso il concetto di distopia non più un concetto fantascientifico ma un concetto sempre più reale e presente nel nostro quotidiano?
Quando ho iniziato a scrivere questa storia, molto tempo fa, certo non immaginavo che la paura collettiva descritta nel romanzo si sarebbe in parte concretizzata a causa dei due eventi che ci hanno travolto in questi ultimi mesi. Da questo punto di vista quella della riga è una metafora molto attuale, anche se io continuo a pensare che la distopia non possa abitare il presente, lei vive il futuro per definizione, un futuro di certo peggiore. Il presente, al limite, come in parte accaduto con il mio romanzo, concretizza una distopia immaginata nel passato.
4) Cos’è per te la distopia e quanto è importante l’amore nei tuoi romanzi?
La distopia è un temporale all’orizzonte, un brutto sogno di quelli che sembrano reali.
L’amore è il vero tema di questa storia, il non-amore, in realtà. La promessa mai mantenuta.
L’amore è un sentimento positivo o negativo? Vale davvero la pena affrontare tutto il dolore e la solitudine che ci aspetta alla fine di quei brevi e fragili momenti di felicità? Questo si chiede il romanzo.
5) Chi sono i tuoi scrittori e le tue letture preferite?
Tra i miei autori preferiti ci sono sicuramente Philip Roth, Salinger Cormac McCarthy, DeLillo… ma le letture che ritengo fondamentali per la nascita di questo romanzo sono senza dubbio La schiuma dei giorni di Boris Vian e Comma 22 di Joseph Heller.
6) A chi consiglieresti “L’uomo che ha venduto il mondo” e perché?
Lo consiglio a chi ama le storie che trascendono i generi, che ambiscono a essere comiche e disperate insieme; a chi ama i riferimenti pop, i romanzi corali, i grandi temi universali come la solitudine, l’irreversibilità delle nostre scelte e la fragilità dei sentimenti. Tutto in salsa apocalittica.
7) Se il tuo libro diventasse film, qual è secondo te un regista che lo renderebbe al meglio?
Magari. Qualcuno mi ha detto che sembra un film di Nolan ma, se vogliamo sognare allora, secondo me, questa storia sarebbe perfetta per Michel Gondry. In Italia dico Gabriele Mainetti o Alessandro Celli.
8) Progetti futuri
Ci sono tante idee, troppe, come sempre. Ma per ora sono solo idee. Se mai ci sarà un altro romanzo spero di accorciare i tempi, di non metterci degli anni.