Nel 1979 sei ragazzi del gruppo speleologico di Narni, in Umbria, scoprirono sotto i resti di un antico convento domenicano un piccolo passaggio attraverso un muro, coperto di macerie e di rovi.
Da quel giorno, aiutati da altri volontari, cominciarono un’opera di scavo e di ripulitura dei resti murari, fin quando, finalmente, nel 1994 il percorso fu aperto al pubblico con il nome di Narni Sotterranea.
Il primo ambiente risultò essere una chiesa del XII-XIII secolo, i cui affreschi erano stati velati da uno spesso strato di calcare depositato dallo stillicidio. Dall’efficace lavoro di restauro emersero così dipinti di artisti umbri del pieno medioevo, che avevano raffigurato il Cristo pietoso e sanguinante, i quattro simboli degli Evangelisti, l’incoronazione di Maria e, particolarmente importanti, numerosi ritratti di S. Michele Arcangelo, al quale era dedicata la chiesa, riconsacrata nel 2000. Adiacente la chiesa si trova un ambiente scavato nella roccia, dove si apre un’antica cisterna romana. Una piccola porta, dall’aspetto insignificante, trovata murata nel 1979 e riaperta in quell’anno dai sei giovani esploratori, conduce nel luogo più segreto di tutto il complesso monastico.
La “Stanza dei tormenti”
Un lungo corridoio si inoltra in una grande sala, occupata un tempo dalla “Stanza dei tormenti”, così chiamata nei documenti rinvenuti negli archivi vaticani. Il Santo Uffizio qui ebbe una sua sede dopo il Concilio di Trento. Prova di ciò si ha anche da un documento del 1726, fortunosamente scampato ai saccheggi, nel quale si descrive la fuga rocambolesca di un certo Domenico Ciabocchi, ritenuto eretico perché bigamo, che approfittò di una fatale distrazione del vivandiere per prenderlo alle spalle con una corda e strangolarlo. Su un lato si apre un piccola e bassa porta che permette di accedere in una cella carceraria. Un numero inverosimile di segni graffiti sulle pareti e sulla bassa volta avvolge chiunque entri. Non avendo a disposizione carta o inchiostro, per poter raccontare la loro storia, affinché quella sofferenza non si cancellasse con il tempo, i prigionieri, al loro posto, usarono il bianco intonaco ed un coccio appuntito.
Nomi, date, simboli, sono giunti fino a noi. Soli, croci, scritte, simboli e una scritta a dominio su tutte “Sant’Ofizio” che avrebbe indicato che quella era la cella dei condannati dal Sant’Uffizio dell’Inquisizione. La camera accanto alla cella conserva alcuni strumenti di tortura. I prigionieri qui dentro sentivano le urla degli interrogati provenire dalle mura, che per quanto spesse, non riuscivano a coprirle.
Gli enigmatici graffiti e il fantasma di Giuseppe Andrea Lombardini
Dopo secoli di forzato silenzio le voci dei graffiti hanno riacquistato sonorità, compresa quella del personaggio “chiave” che là sotto trascorse almeno 90 giorni a cavallo tra il 1759 e l’anno successivo. Si tratta di un uomo, Giuseppe Andrea Lombardini. Uno sfortunato gioco del destino ha fatto si che lui stesso, guardia dell’Inquisizione, fosse arrestato per aver favorito la fuga di un suo compagno d’armi. Aveva comunque una propria grande fede, che testimoniò riproducendo più volte i monogrammi di Cristo e di sua Madre. Con il timore di veder cancellati i suoi messaggi di pace, libertà e soprattutto giustizia, li affidò ad un linguaggio simbolico, conosciuto da pochi. Sono quindi visibili segni massonici, alchemici, cabalistici, graffiti secondo un preciso disegno mentale. Rimane la leggenda che il suo fantasma aleggerebbe ancora tra queste mura per via di diversi episodi inspiegabili.
La chiesa di Santa Maria Maggiore
La maestosa chiesa di Santa Maria Maggiore, oggi San Domenico, è stata trasformata in sala conferenze e fino al XIII secolo fu la cattedrale di Narni. Proprio in questo edificio è possibile ammirare le recenti scoperte archeologiche, fra le quali uno splendido mosaico bizantino del VI secolo. Sotto Santa Maria Maggiore è venuto alla luce un pavimento in mosaico bizantino e altre stanze ad oggi prive di spiegazione relativa ad una loro funzione. Questo a testimonianza della ricchezza archeologica di questa cittadina ancora da scoprire.
Le opere ingegneristiche degli acquedotti
Acquedotto della Formina: E’ un’opera ingegneristica strabiliante, fu voluto dall’Imperatore Tiberio, nel 27 d.C., a seguire un percorso di ben 13 chilometri sfruttando le pendenze del terreno, percorrendo colline e ponti. Portava l’acqua da Sant’Urbano a Narni. In un punto preciso era dotato di un sifone che sapeva sfruttare la pressione in modo che l’acqua scendesse da una collina per poi comodamente risalire. Purtroppo nei secoli la struttura si è deteriorata in più punti e, nonostante ci abbiano provato in molti, nessuno è riuscito a ricostruire la perfezione dell’oggetto meccanico romano.
La Galleria di Amelia: fu scavata nel primo secolo a.C. dai romani che dovevano distribuire l’acqua alla città. Sono dieci stanze di circa diciannove metri per cinque destinate ad accogliere quattro milioni e mezzo di litri d’acqua piovana e convogliata in vari punti della città. E’ ricoperta dal “coccio pesto” (terracotta e malta) che impermeabilizzava le stanze. Il pavimento in pendenza finiva con una galleria chiusa che veniva aperta periodicamente per svuotare e lavare l’ambiente oltre che a controllarne zone deteriorate dall’acqua. Interessante la sotterranea di Palazzo Venturelli una domus romana con un bellissimo pavimento.

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