Per chi ama il Festival della canzone italiana
di Lucio Scorzelli
Tic-tac, tic-tac, tic-tac, tic-tac, tic-tac, tic-tac… e il tempo passa, tic-tac, tic-tac…
sono quasi le due, la stanchezza per seguire da ore una trasmissione televisiva si fa sentire, per me sprofondato in una comoda poltrona, pensa come si deve sentire chi è sul palco in diretta da quasi cinque ore! Eppure
voglio aspettare, ci tengo a sentire quello che ormai comunemente si chiama “monologo”, ci tengo ad ascoltare cosa dirà una donna che ritengo gradevole e incisiva nel modo di porsi: Chiara Francini.
Siamo sotto il periodo del carnevale, i bambini di ieri potevano contare sulla manciata di coriandoli che rubavano dal
sacchetto che stringeva in pugno il solito ciccione, sempre quello che decideva quando la partita finiva portandosi a casa “il suo” pallone e, come in quel sacchetto, dove tutti i colori della carta si mischiavano fra loro, senza un preciso schema,
senza un progetto o una strategia definita, ecco io vedo lo spettacolo che ci è stato proposto dalla produzione del Festival della canzone italiana di Sanremo.
La metafora del variopinto sacchetto di coriandoli non è
casuale, infatti, oltre alla frivolezza in sé e al loro umile lavoro,
prima di cadere ed essere conseguentemente calpestati, una
volta lanciati e quasi impossibile raccoglierli e, peggio che mai,
separali per forma e colore; ormai buona parte di quello che ci
viene offerto negli spazi televisivi dedicati al ludico
intrattenimento e proprio come quel sacchetto, dove tutto si
mischia, niente è separabile e tutto finisce in terra, prima
calpestato e poi scopato via.
Ogni anno il baraccone festival moltiplica la sua visibilit
creando sempre spazi nuovi dove poter sfogare la voracit
insaziabile dell’ odiens; i saltelli nervosi fra un canale e l’altro
ci portano a guardare sempre gli stessi stereotipi conditi in
maniera diversa e da persone sempre più variopinte il cui unico
scopo è quello di ottenere consensi, e fin qui, nulla di male
visto che ogni teatrante spera sempre di vedere più “merda”
possibile davanti al suo teatrino ma, guardando e ascoltando
bene, senza cadere nelle trappole del falso apparente political
correctness , molte note stonate e molti colori sbiaditi si
affacciano con sempre più prepotenza, vengono chiamati
contenitori, dove tutto si mischia in un guazzabuglio
all’apparenza paradossalmente ordinato e, allora, in questo
vaso di Pandora il cui contenuto è sempre caoticamente
misterioso, ecco che qualcosa rischia sempre e comunque, di
farsi notare; Chiara Francini ha deciso di portare in scena un
testo teatrale che lei sente particolarmente, si capisce che la sua
non è un’interpretazione studiata, ma è più una partecipazione.
Il tema trattato è tragico! Si dirà, in quel famoso contenitore
intrattenitivo fatto di lustrini e paillettes cosa c’entra la
tragedia? Facendo scorrere indietro il nastro delle serate
precedenti, si noterà che comunque quel tasto variegatamente
tragico, è già stato premuto, da chi magari ne era inconsapevole
sia per cultura che per qualità, da chi ha sempre pensato di
essere una spanna più alto è ha fatto diventare tragica quella
sua presenza inqualificata e inqualificabile su quelle assi
teatrali, e comunque sempre all’interno di quel famoso
sacchetto di coriandoli.
Non entro nel merito del contenuto del testo di Chiara, penso
che sia un argomento estremamente intimo e soprattutto rivolto
all’essenza dell’essere donna ma, dico: perché il tritacarne
mediatico ha bisogno anche di questo in una serata che
dovrebbe essere rivolta allo “spettacolo intrattenitivo”? Chiara
è stata comunque lampante nel suo dire; messa a confronto dei
personaggi che l’hanno preceduta e di cui siamo stati costretti a
subire interpretazioni fasulle e anche offese vere e proprie sia
alla nostra intelligenza che alla nostra dignità (una per tutte:
l’Italia è un paese razzista! ) si, Chiara è stata lampante ma
assolutamente sprecata, sia nel luogo che nello spazio
temporale.
Perché tutto dev’essere mischiato, perché personaggi
squallidi, semi analfabeti, stupidi e incoerenti, mascherandosi
con gli abiti dell’artista impegnato devono potersi anche solo
accostare alla semplicità schietta, alla concretezza di donne, di
persone come la Franchini? Perché il Festival della canzone
italiana deve diventare l’avanspettacolo di una certa cultura, e,
soprattutto, senza interlocutori diretti la quale appartenenza ad
altri gruppi di idee e tendenze non viene quasi mai
rappresentata? Abbiamo sentito sproloquiare in tutti i modi e in
tutte le salse, abbiamo visto scene per cui il ridicolo e lo
squallido è un complimento e, tutto questo, davanti a schiere di
personaggi perennemente e comunque plaudenti e ridenti visto
che, tragicamente, sono pagati anche con i nostri soldi; ma,
avete notato?, in prima fila c’era sempre un ragazzino, sempre
ripreso; ogni volta che l’occhio della telecamera si illuminava
lui era lì con il suo sorriso semplice, un ragazzino in prima fila
rappresentante di tutti quelli al di là di quella telecamera, un
coriandolo, un adolescente a cui hanno fatto subire tutte quelle
stronzate mascherate all’interno di uno spettacolo che di variet
dovrebbe essere, di canzoni italiane si dovrebbe parlare.
Che altro dire…diceva il grande Gilberto Govi:
“Finirà, non so come, ma finirà!”
Evviva il Festival di Sanremo, abbasso l’arroganza
dell’ignoranza.
Lucio Scorzelli
Imperia Oneglia, 15 gennaio 2023